Inchiesta Covid, da Conte a Fontana: tutte le accuse dei pm

Governo, Regione Lombardia e dirigenti della sanità locale dovranno rispondere di epidemia colposa, omicidio colposo e rifiuto di atti d’ufficio

Attilio Fontana, Giuseppe Conte, Giulio Gallera

Attilio Fontana, Giuseppe Conte, Giulio Gallera

Bergamo - Epidemia colposa, omicidio colposo, rifiuto di atti d’ufficio, lesioni colpose e falso. Sono i reati contestati, a seconda delle posizioni, dalla Procura di Bergamo alle 19 persone, tra cui l'ex premier Giuseppe Conte, l'ex ministro della Salute Roberto Speranza e il governatore della Lombardia appena rieletto Attilio Fontana, a cui è stato notificato l'atto di chiusura delle indagini nell’inchiesta sulla gestione della prima ondata Covid nella Bergamasca. 

I tre livelli di responsabilità

Sono 3 i livelli su cui si articola l’inchiesta della Procura di Bergamo. Sotto accusa ci sono livello centrale, riferibile al governo, al Cts e all’Iss, il livello regionale con i vertici della Lombardia e il livello locale che doveva intervenire sulle zone di Alzano Lombardo e Nembro, i due comuni bergamaschi centro della prima ondata della pandemia.

Val Seriana e Piano Pandemico

Le accuse dei pm riguardano in particolare: la mancata esecuzione delle misure del Piano Pandemico e il suo non aggiornamento (il vademecum in caso di pandemia era stato stilato nel 2006 e mai modificato), la mancata attuazione della zona rossa ad Alzano e Nembro nonostante presentassero dati epidemiologici più gravi di Codogno - dove invece scattò immediatamente la zona rossa – e infine la gestione dell’emergenza all’ospedale di Alzano dopo la scoperta dei primi casi. Secondo i pm l’adozione delle misure previste, ma che i responsabili – secondo l’accusa – ignorarono, avrebbe potuto risparmiare la vita a migliaia di persone.

Conte e Speranza

Per l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro Roberto Speranza, i vertici del Cts e dell’Iss, l’accusa è sia di non aver dato attuazione alle prescrizioni del Piano Pandemico che, benché fermo al 2006, conteneva comunque indicazioni su come agire in caso di pandemia, che la mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana, nonostante gli indici di contagio peggiori di Codogno e il lodigiano, nelle quali la zona rossa scattò subito. In particolare i magistrati contestano la sottovalutazione, se non proprio la non considerazione, del rapporto al ministero della Salute dell’epidemiologo Stefano Merler dell’istituto Kessler in cui si spiegava che l’indice di contagio bergamasco era già fuori controllo dal 28 febbraio. Allarmi che vennero – colpevolmente, secondo i magistrati – ignorati.

Fontana

Secondo i pm bergamaschi il governatore lombardo avrebbe grandi responsabilità nella mancata attuazione della zona rossa dopo i casi di Alzano Lombardo e Nembro. La Val Seriana stava per essere travolta dalla prima ondata Covid e Fontana - dicono i pm - chiedeva al premier Conte "il sostanziale mantenimento delle misure di contenimento già vigenti sul territorio, non segnalando alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei comuni della Val Seriana, inclusi i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, e dunque non richiedendo ulteriori e più stringenti misure di contenimento".

Gallera

L'ex assessore al Welfare lombardo per i magistrati non avrebbe adottato "le azioni per garantire trattamento e assistenza", tra cui "censire e monitorare i posti letto" di "malattie infettive", "non aggiornandoli mensilmente in violazione di quanto previsto dal Piano Pandemico regionale". Condotte che avrebbero, come quelle degli altri indagati, causato, secondo la Procura, una "diffusione incontrollata" del virus

L’ospedale di Alzano

L'ospedale di Alzano Lombardo è considerato l'epicentro del contagio in Val Seriana e poi nella Bergamasca. Il primo caso venne registrato il 23 febbraio 2020: il pronto soccorso fu chiuso e riaperto in tre ore. Il direttore generale e quello sanitario dell'Asst Bergamo Est, Francesco Locati e Roberto Cosentina, oltre al dirigente dell'ospedale Giuseppe Marzulli, sono accusati di avere provocato la diffusione del virus nei reparti portando al contagio di 35 operatori sanitari. "In particolare - evidenziano i pm - non fornivano ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, non richiedevano da parte dei lavoratori l'osservanza delle circolari aziendali" e non si preoccuparono della loro formazione. Solo l'arrivo dei medici dell'esercito riuscì a bloccare la diffusione del virus all'ospedale di Alzano: ormai però era metà marzo.