REDAZIONE CRONACA

Sfottò, funerali, taglio dei baffi L’eterna sfida fra Inter e Milan

Ricerca universitaria svela come è cambiato il tifo

– MILANO –

«IL DERBY è una cartina di tornasole efficiente per leggere Milano e le sue trasformazioni». A ricordarlo è Simone Tosi, docente di Sociologia dell’ambiente e del territorio e presidente del master in Sport management, marketing and society dell’Università Bicocca. Insieme al collega Gianmarco Navarini sta curando una ricerca finanziata da Regione Lombardia per indagare, in prospettiva storica, i rituali del tifo calcistico. Sotto la lente dei ricercatori le cronache giornalistiche e i resoconti dei derby dal 1946 al 2016, arricchite da interviste a testimoni privilegiati ed ex tifosi. Si parte col Dopoguerra. «La città è appena stata bombardata, il tessuto fisico è sgretolato – ricorda il sociologo –: andare a tifare Milan e Inter allo stadio diventa un atto liberatorio. Arrivare a San Siro non è semplice, ma anche per la gente povera è un modo per ricominciare a vivere. La folla è sempre descritta come eroica». Indiscusso protagonista è il pubblico: arriva a piedi o col tram, ore prima del match, anche sotto la pioggia battente, portandosi la schiscetta e il fiasco di vino da condividere con gli altri. «Andare al derby è un evento mondano ma popolare, a cui partecipano tutti – ricorda Tosi –. È dissacrante ma pieno di sacralità». Il “vippismo” dei giocatori è lontano anni luce: i calciatori appartengono al popolo, non arrivano ancora in Ferrari. Ci sono episodi di conflitto, fra eterni battibecchi e sfottò. «La presa in giro dell’avversario è costitutiva del derby milanese: la passione per il calcio è viscerale e subentra l’emotività in modo irrazionale – racconta Tosi –. Accade così, nei primissimi anni ’50, che un interista e un milanista scommettono: uno è ricco, mette sul tavolo i soldi, l’altro ci mette i suoi importanti baffi, perde e prima di uscire dallo stadio viene rasato». I rituali abbondano: «Si celebra il funerale del perdente, pratica apparentemente macabra in cui chi perde, fra Diavolo o Biscione, viene portato in corteo per le vie cittadine, ci sono i necrologi e le fanfare a lutto per salutare la ‘prematura scomparsa’». Il tifare Milan o Inter in quegli anni è un tassello nel processo di integrazione: «Un passaggio obbligato per ricevere la ‘cittadinanza milanese’ è decidere se tifare Milan e Inter. Oggi quel processo di integrazione sarebbe impensabile, andare allo stadio non è più alla portata di tutti».

LA STORIA cambia a fine anni ’60. «Il primo elemento di rottura si ha con l’ingresso delle donne allo stadio – svela Tosi –, i giornalisti sono sbigottiti. Cambiano i look: arrivano i jeans, non si va allo stadio in giacca e cravatta. Si riproducono anche le dimensioni politiche che stanno spaccando la città, compaiono i nomi delle brigate». Negli anni ’70 e ’80 il pubblico deve essere pagante: l’affare economico si fa spazio, cambia la società, e i “vip” in tribuna arrivano ora dal mondo dello spettacolo e dalla politica. Negli anni ‘90 compaiono i tornelli e pure la città diventa spazio «sicurizzato». L’ultima evoluzione vede un derby che parla cinese: «È uno step di un percorso lungo – ricorda il sociologo – il calcio è sempre più un fatto globale e andare al derby diventa anche un fatto turistico». Conterà più vincere la Coppa dei Campioni, ma il derby è sempre il derby. Si.Ba.