
PROTESTA False banconote lanciate davanti alla sede del consiglio regionale
Milano, 2 marzo 2016 - «Generalmente in Italia chi fa emergere fenomeni di corruzione o altri reati contro la Pubblica amministrazione invece di essere premiato viene punito. Evitato. Come se fosse un appestato. Ma sono convinto allo stesso modo che l’onestà passi attraverso gesti concreti, non solo con l’enunciazione dei principi». Sergio Arcuri, 44 anni, commercialista, era responsabile della Compliance e dei controlli interni della Arval (gruppo Bnp Paribas) quando raccolse una segnalazione di un collega che portò alla produzione di indagini interne, relativamente all’aggiudicazione di appalti pubblici, le cui anomalie furono confermate dalla Procura. In inglese quelli che effettuano segnalazioni di casi sospetti si chiamano «whistleblower», letteralmente «colui che soffia nel fischietto», immagine suggestiva per descrivere chi scopre un illecito e lo denuncia. Siamo nel 2011, le segnalazioni, su appalti sotto soglia nelle gare Aler (pulizia, cura del verde, noleggio auto) e in altre aggiudicazioni pubbliche in Fnm o in strutture ospedaliere, fanno scattare le indagini. Il caso Kaleidos porta all’arresto di 16 persone nel gennaio 2013.
Lei è stato citato come teste fondamentale nell’Ordinanza di custodia cautelare...
«La mia collaborazione con la Procura è iniziata gennaio 2012 con la consegna della documentazione al Nucleo investigativo della polizia giudiziaria. Non è stato facile decidersi poichè nella cultura italiana è molto difficile far passare il valore di una collaborazione come arma contro la corruzione».
Dopo il caso Rizzi, in sanità, il governatore Maroni vuole costituire l’Arac, authority regionale contro la corruzione. Alla luce della sua esperienza è utile?
«Dipende da chi chi viene messo a capo. Deve essere autonomo dalla politica, avere una storia forte, una vera capacità di ascolto e di tutela nei confronti di chi denuncia. Bisogna poi anche filtrare le segnalazioni, alcune possono essere strumentali a ledere la dignità umana qualora venissero rese in forma anonima».
Cosa suggerisce?
«Non serve dare ai dipendenti la possibilità di denunciare se in primo luogo non c’è certezza della pena e poi non si tutela chi ha segnalato i fatti corruttivi».
La novità è che dopo anni una legge sta per arrivare e si estenderà anche ai privati, malgrado l’opposizione di Confindustria.
«Sì, certo. Colmerà le lacune della Severino che prevede una forma embrionale di whistleblowing ma uno dei nodi è ad esempio l’assenza di un meccanismo premiale per il whistleblower. La cosidetta taglia che può andare dal 15 al 30% sulla cifra recuperata dallo Stato grazie alla soffiata. Un incentivo per le denunce e a ulteriore tutela. Il premio permetterebbe di affrontare le spese legali. Dobbiamo ispirarci al modello americano. E nel frattempo far crescere una forte cultura della legalità che estirpi la mala pianta della corruzione. Dal 1992 ad oggi non è cambiato nulla, abbiamo lasciato tutto nelle mani della magistratura che ha fatto il proprio dovere con le leggi che aveva a disposizione. Ma il cambiamento culturale, politico, non è avvenuto».