NICOLA PALMA
Cronaca

"Rambo" D’Onofrio, narcos e dirigente Aia arrestato: dalle botte al traditore al blitz

Nel 2021 la nomina a procuratore nazionale degli arbitri. Un anno prima era stato bloccato dalla Finanza con 40 chili di marijuana

Milano, 13 novembre 2022 - Barriera autostradale dell’Autolaghi, vicino Rho, 20 maggio 2020. I militari della Finanza fermano un Iveco Daily: il furgone trasporta apparentemente due bancali di pannelli di truciolato, ma all’interno gli uomini delle Fiamme Gialle ci trovano 40 chili di marijuana. Sembra un controllo casuale, ma in realtà non lo è: gli investigatori sapevano benissimo che quel mezzo, noleggiato qualche ora prima a Limito di Pioltello, trasportava droga. Così come sapevano che il conducente, già da tempo intercettato come la compagna, era parte di un’organizzazione criminale che trafficava tonnellate di stupefacenti sull’asse Catalogna-Lombardia.

Il primo arresto

Quel giorno, l’autista finisce in manette: è Rosario D’Onofrio, all’epoca sospeso dall’Esercito perché si era conquistato la qualifica di ufficiale medico millantando una laurea che non aveva. Il quarantaduenne, che tutti chiamavano "Rambo", giovedì è finito nuovamente in cella (ai domiciliari la compagna Stefania Rosaria Marcinnò) a valle dell’indagine della Dda che ha smantellato definitivamente l’associazione a delinquere di cui è accusato di aver fatto parte fino alla mattina delle manette. 

La carriera nell'Aia

Aveva intrapreso anche una brillante carriera all’interno dell’Aia, l’associazione italiana arbitri: membro della sezione di Cinisello Balsamo, la nuova gestione guidata dal presidente Alfredo Trentalange lo ha scelto il 6 marzo 2021 come procuratore nazionale, vale a dire l’uomo incaricato di coordinare l’ufficio che si occupa di vigilare sull’operato dei direttori di gara. E qualche mese fa, il primo luglio, D’Onofrio ha ricevuto pure il premio "Concetto Lo Bello" come "dirigente arbitrale nazionale particolarmente distintosi".

La condanna

Peccato che tra la nomina e il riconoscimento sia diventata irrevocabile la condanna con giudizio abbreviato a 2 anni e 8 mesi di reclusione per il blitz del 20 maggio 2020, come risulta dal certificato del casellario penale. Evidentemente, però, il quarantaduenne originario di Capua, in provincia di Caserta, è riuscito sempre a tenere nascosto il lato oscuro della medaglia. Ieri i vertici dell’Aia, che si ritengono parte lesa in questa storia e che hanno parlato di "sorpresa e sgomento", hanno fatto sapere che giovedì stesso D’Onofrio si è dimesso da procuratore nazionale.

Le reazioni

Durissima la presa di posizione del presidente della Federcalcio Gabriele Gravina, che ha subito chiesto conto a Trentalange e preannunciato che "la Figc assumerà tutte le decisioni necessarie a tutela della reputazione del mondo del calcio e della stessa classe arbitrale". Gli atti dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia rimandano l’immagine di un personaggio senza scrupoli, che in pieno lockdown si infilava una mimetica dell’Esercito (che si sarebbe fatto prestare da un collega ignaro) e andava in giro a prelevare droga e a consegnare i soldi dei narcos a un cinese di via Canonica per il trasferimento di valori ai fornitori spagnoli col metodo "hawala".

Il ruolo chiave

Secondo i pm della Dda, D’Onofrio aveva assunto un ruolo-chiave dopo l’arresto di Cesare Guido, reperendo subito un luogo sicuro dove stoccare la "roba" in arrivo dall’estero su camion in teoria pieni di cassette di frutta. Di più: il quarantaduenne avrebbe pure partecipato al "violento pestaggio" di Marco Bergomi (pure lui arrestato), punito per aver rubato all’ex cognato Vito Colonna i 100mila euro che quest’ultimo aveva deciso di custodire a casa della sorella. "Era in gamba di brutto... e di famiglia mia... sapeva cosa faceva...", il rammarico di Daniele Giannetto alias "Vodafone" il 21 maggio 2020, in realtà interessato soprattutto al fatto che D’Onofrio non facesse i loro nomi e che rimanesse zitto con gli inquirenti.