Più giovani da recuperare. Ma le comunità chiudono

Il paradosso: aumentano rapine in strada, aggressioni, atti vandalici, arresti e denunce. Mancano 400 operatori nelle strutture per dare un futuro diverso ai ragazzi: 4 stop in 4 mesi

Giovani (foto di archivio)

Giovani (foto di archivio)

Ogni giorno, nella Città metropolitana di Milano, un giovane con meno di 20 anni viene arrestato per rapina in strada. Solo la polizia di Stato, nel 2021, ne ha presi 325. Anche a Brescia, dopo due anni di pandemia, suona lo stesso campanello d’allarme. L’anno scorso sono stati 149 i giovanissimi denunciati dalla Questura soprattutto per lesioni dolose, danneggiamenti e rapine, mentre nel periodo pre Covid erano 34. Un numero quadruplicato. A Lodi, nell’ultimo anno, 7 ragazzi (di cui 4 minori) sono stati fermati o arrestati; 53 denunciati a piede libero. In provincia di Varese i denunciati sono 44 per risse: tra questi, 26 per l’episodio avvenuto a Gallarate a gennaio dello scorso anno e che ha coinvolto soprattutto under 18. In 7 sono stati invece indagati per rapine a coetanei. Secondo l’ultimo rapporto dell’associazione Antigone la Lombardia conta 3,2 minorenni denunciati, per reati di varia natura, ogni mille under 18 residenti. Dai numeri emerge un aumento della violenza giovanile che richiederebbe misure immediate. Invece si assiste a un continuo ridimensionamento delle strutture in grado di accogliere minori che commettono reati e di avviare percorsi di reinserimento. Dall’inizio dell’anno 4 hanno chiuso i battenti, mentre altre potrebbero seguire a breve la stessa strada. 

Milano - Quaranta minorenni nel limbo, nelle città e nelle province lombarde. Sono destinati a comunità educative per giovani autori di reato, ma per loro non c’è posto. La chiusura delle strutture specializzate e le liste d’attesa che si allungano in quelle rimaste aperte innesca una spirale dagli effetti devastanti. I minorenni arrestati e destinati dai giudici a un percorso di recupero nelle comunità spesso vengono rimandati nelle loro case, nello stesso ambiente che li ha visti commettere reati in un periodo della vita cruciale, al bivio fra il reinserimento e la caduta nella delinquenza. «Prima di trovare una struttura in grado di accoglierli possono trascorrere dei mesi", spiega Paolo Tartaglione, referente “Infanzia, adolescenza e famiglie“ del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) Lombardia e presidente della cooperativa sociale Arimo. "In questo modo il rischio di reiterazione del reato è altissimo – prosegue – e nei prossimi mesi mi aspetto un tracollo. Da noi arrivano anche ragazzi che, non ancora diciottenni, hanno già sulle spalle 15 imputazioni". La causa della riduzione di posti nelle strutture è, secondo il Cnca, la mancanza di personale, in particolare di educatori. Solo nei primi mesi del 2022, proprio per la carenza di educatori che rendeva impossibile rispettare gli standard, hanno dovuto chiudere i battenti quattro comunità iscritte nel registro nazionale dei centri abilitati per accogliere minorenni autori di reati, fra Altomilanese e province di Pavia e Lodi. Altre 5 avevano chiuso nel 2021. Quelle che accolgono in maniera strutturata e sistematica giovani provenienti dal circuito penale ora si contano sulle dita di una mano, nonostante l’aumento della criminalità e del disagio giovanile.

La carenza di personale mette in crisi anche le comunità educative fuori dal circuito penale (la Lombardia conta quasi 800 servizi residenziali per minori e circa 360 comunità). Strutture che accolgono minori non accompagnati e ragazzi allontanati dalle loro famiglie, per proteggerli da violenze, maltrattamenti o conflitti fra genitori. Un esercito composto da circa tremila ragazzi. Chi resta fuori rischia di essere collocato anche a centinaia di chilometri di distanza, dove ci sono posti disponibili per tamponare l’emergenza. Servirebbero, secondo le stime del Cnca Lombardia, almeno 400 nuovi educatori da inserire nelle comunità lombarde. Trovarli, alle condizioni attuali, sembra un’impresa impossibile. Sono sempre meno, rispetto al passato, i neolaureati che vogliono provare un’esperienza professionale nelle comunità.

Le ultime norme , inoltre, hanno ristretto l’accesso alla professione e i maxi-concorsi nelle scuole hanno dato il colpo finale. Centinaia di operatori di comunità si sono dimessi per prendere servizio in asili e scuole materne. L’effetto di questi fattori è evidente nelle scarsissime candidature quando le comunità cercano nuovi operatori. Un master, promosso dalle cooperative sociali Il Melograno-Cbm e Arimo e la Scuola Mara Selvini Palazzoli su "disagio e devianza giovanile e bimbi vittime di abusi e maltrattamenti", è ancora in attesa di raggiungere la quota minima di partecipanti per poter partire con le lezioni a settembre. Se le comunità soffrono, anche l’Istituto penale per i minorenni Beccaria di Milano non si trova in una situazione migliore. "Non sembra più l’istituto modello che era stato in passato – si legge nell’ultimo rapporto dell’associazione Antigone – ma è ancora alle prese, dopo 15 anni, con una ristrutturazione eterna". Al momento della visita dei volontari c’erano 37 minori ospiti, per una capienza di 31. Tra questi, quattro erano stati rimandati nell’istituto dopo il fallimento di percorsi esterni nelle comunità.