Choc termico, ipotermia e sincope da idrocuzione: i rischi di chi scandaglia laghi e fiumi

Le forti differenze di temperatura tra ambiente esterno e acqua o l'improvviso incontro con correnti fredde spesso diventano una seria minaccia per i sub

I soccorsi nei laghi sono sempre molto veloci ma non sempre risolutivi

I soccorsi nei laghi sono sempre molto veloci ma non sempre risolutivi

Si parla di choc termico, in molti casi di annegamento, soprattutto nei laghi, dove a volte le correnti fredde insidiose colpiscono (anche in profondità) chi vi si immerge, magari per esplorare i fondali durante un’attivistà sportiva subacquea. Ma quali sono le caratteristiche di questo fenomeno? Spesso associato alla sincope da idrocuzione? Per inquadrare il fenomeno dell’idrocuzione basta ricorrere ai libri di medicina di vent’anni fa, in cui veniva definita come una sincope (svenimento) da immersione rapida in acqua fredda che poteva portare anche a arresto cardiorespiratorio o annegamento. 

La premessa: l’organismo umano ha una temperatura attorno ai 37°. L’acqua del mare, del lago o del fiume si aggira attorno ai 18°, spesso (fiumi, laghi di montagna) anche  meno. In termini medici si può affermare che “il meccanismo comincia con una vasocostrizione, che a sua volta provoca riflessi a livello di tronco dell’encefalo. In quegli attimi vengono interessati sia i centri di regolazione cardiaca che quelli respiratori (arresto cardiorespiratorio).Se invece non sono coinvolti i centri bulbari in modo letale, l’arresto di circolazione e di ossigenazione provoca comunque una sincope con perdita di coscienza”.

In altre parole l’impatto della pelle con l’acqua fredda determina una importante riduzione della frequenza cardiaca e di pressione arteriosa. Cos’è esattamente una sincope? È una perdita di coscienza, temporanea, repentina e di breve durata. È un evento non grave, a meno che non abbia all’origine delle patologie cardiache. O, nel caso dell’idrocuzione, che non si accompagni a uno choc termico che può diventare la premessa dell’annegamento.  La sincope in genere si manifesta in seguito a un calo della pressione che ha provocato un’improvvisa riduzione del flusso sanguigno al cervello (ipoperfusione cerebrale, che però di solito è  transitoria).

Il problema verò, specie nel caso di forti differenze di tempratura tra l’ambiente esterno e quello acquatico, può essere invece l’ipotermia. L‘ipotermia è una condizione di emergenza in cui il corpo perde calore più velocemente di quanto rapidamente lo produca. Questa situazione porta a una pericolosa diminuzione della temperatura corporea, che scende al di sotto dei 35 °C.

Durante l’immersione, l’ossigeno gradualmente diminuisce e contemporaneamente l’anidride carbonica prodotta dall’attività metabolica dei vari tessuti del corpo umano aumenta. Sarà proprio il graduale accumularsi di Anidride Carbonica nel sangue a stimolare i centri bulbari cerebrali preposti alla respirazione, che a loro volta stimoleranno nel subacqueo la ripresa della respirazione attraverso le contrazioni diaframmatiche. Queste contrazioni del diaframma vanno dunque considerate dal subacqueo come un campanello d’allarme.

Infatti il nostro organismo non può tollerare tassi troppo elevati di CO2 (ipercapnia) e tassi troppo bassi di O2 (ipossia). Al di sopra (per la CO2) e al di sotto (per O2) di questi valori si avrebbe la sincope respiratoria, con conseguente perdita di coscienza, detta appunto sincope da apnea prolungata. Il rischio maggiore è attuare, prima dell’apnea, una troppo prolungata. L’inutilità e soprattutto la pericolosità di un’iperventilazione prolungata sta dunque nel fatto che, senza riuscire ad aumentare ulteriormente la durata dell’apnea, ritarda l’insorgere degli stimoli respiratori, riducendo sensibilmente il tempo che intercorre tra l’inizio delle contrazioni diaframmatiche e la sincope..