GABRIELE MORONI
Cronaca

Coronavirus, in trincea col 118: "Il silenzio irreale e la grande paura"

Cremona, i ricordi di Ugo Rizzi in prima linea come anestesista riamimatore sulle ambulanze

Ugo Rizzi

Cremona, 15 giugno 2020 -  Marito e moglie , entrambi sanitari, in trincea contro il Covid-19. Cinque figli e i due maggiori, nei giorni dell’emergenza più drammatica, assumono il ruolo di capofamiglia. Ugo Rizzi, anestesista rianimatore con la passione per l’emergenza territoriale fin dalla nascita del 118, nel 1992, è responsabile dell’Aat 118 provinciale di Cremona dell’Azienda Regionale Emergenza Urgenza della Lombardia.

Dottor Rizzi, come è iniziata l’emergenza? "Per me è cominciata con una telefonata, la mattina del 21 febbraio, per organizzare l’evacuazione dei pazienti dall’ospedale di Codogno, mentre i notiziari iniziavano a diffondere alcune informazioni. Al momento, nessuno immaginava quello che sarebbe accaduto dopo".

È stata subito avvertita nella sua gravità? "Non immediatamente. Ma con il trascorrere delle ore si è delineata sempre più la portata di un’emergenza epocale, con una sproporzione tra le risorse e l’ondata dei pazienti contagiati che, repentinamente, sviluppavano gravi polmoniti che richiedevano interventi immediati".

C’è stato un momento in cui è affiorata la paura di non riuscire? "Francamente no, anche se c’era la costante preoccupazione di non riuscire a curare tutti in modo tempestivo e adeguato. I servizi di emergenza, per definizione, sono preparati, anche psicologicamente, ad affrontare le emergenze straordinarie. È stato, però, un lungo, estenuante periodo di ‘trincea’, continuamente impegnati, in prima linea, a incrementare mezzi e personale per soccorrere sul territorio pazienti gravi. Spesso richiedevano, da subito, un supporto ventilatorio non invasivo, oppure dovevano essere immediatamente intubati e trasportati, per le migliori cure possibili, nei diversi ospedali della regione. Questo perché alcuni pronto soccorso erano ormai troppo affollati. Alcuni pazienti venivano poi trasferiti in ospedali di altre regioni. Abbiamo anche trasportato alcuni pazienti in ospedali della Germania".

Un suo ricordo particolare. "Due su tutti. Il silenzio, cupo e irreale, delle notti nei primi giorni dell’emergenza nelle corsie del Pronto soccorso, affollate all’inverosimile. Pazienti spaventati e disorientati su barelle e brandine allestite come si poteva. Davvero angosciante. E poi lo sguardo impaurito e smarrito dei pazienti che andavamo a soccorrere a casa, completamente ‘bardati’ nelle tute di protezione. Erano stremati dalla febbre e dalla difficoltà respiratoria e cercavano una qualche relazione di conforto e rassicurazione nei nostri occhi, l’unica cosa visibile di noi".

Pensa che sia mancato qualcosa da un punto di vista organizzativo, strutturale, gestionale? "Onestamente, per quanto ci riguarda, penso si sia fatto tutto quello che umanamente si poteva. Avendola vissuta ‘da dentro’, posso testimoniare che tutti hanno cercato di dare il massimo, senza risparmio di personale e di mezzi. Qualcuno ci ha chiamato eroi. Ho sempre respinto questa definizione. Chi sceglie di fare il sanitario possiede in partenza, nel proprio Dna, una vocazione al servizio verso gli altri. Certo che se penso ai sanitari, e fra questi alcuni amici, che hanno perso la vita, beh, qualcosa di eroico forse c’è stato".

Com’era cambiata la sua vita familiare? "All’inizio è stato molto complicato. Tutti avevano paura e restavano a casa, compresa la baby sitter. Mia moglie era impegnata in ospedale. Per certi versi è stata una sorpresa l’aiuto che ci hanno dato i figli più grandi, uno di 18 anni e l’altro di 16, che hanno accudito in più piccoli, dividendosi i compiti domestici: il più grande si occupava di cucinare, l’altro delle faccende domestiche, compreso il bucato. Non so come avremmo potuto fare diversamente. Sono stati davvero bravi. Anche per loro, grandi e piccoli, stare chiusi in casa per così tanto tempo è stata dura".

Cosa le lascerà tutto questo? "Tanti ricordi dolorosi per chi non ce l’ha fatta. Per il resto, l’essere umano dimentica in fretta e non impara".

Potrà tornare come prima? "Con il tempo, certamente".