ROBERTO CANALI
Cronaca

I saluti romani e l’Anpi, le due piazze contrapposte di Dongo. Il sindaco: “Così ogni anno, ma non ci si abitua”

A ottant’anni dall’arresto di Mussolini, in fuga con una colonna di tedeschi, i nostalgici si radunano per ricordarlo, separati da transenne e polizia dagli antifascisti. Mauro Robba: “Ci sono più partigiani oggi di allora”

I saluti romani e l’Anpi, le due piazze contrapposte di Dongo. Il sindaco: “Così ogni anno, ma non ci si abitua”

Dongo (Como) – È un’eredità ingombrante quella di Dongo e il famoso o famigerato oro, a seconda dei punti di vista, questa volta non c’entra. A pesare come un macigno è la consapevolezza di essere il luogo in cui si è consumato l’epilogo del Fascismo, o per essere più precisi del suo fondatore Benito Mussolini che fu fermato alle 16 del 27 aprile 1945 mentre fuggiva con una colonna tedesca e giustiziato il giorno dopo, a pochi chilometri da qui a Giulino di Mezzegra, di fronte al cancello di Villa Belmonte.

Sindaco Mauro Robba, perché a 80 anni di distanza “i fatti di Dongo” continuano a dividere?

"Forse perché non adottiamo la giusta distanza e la serenità con cui si dovrebbe guardare a un evento storico”.

In pratica si rischia di essere “troppo” partigiani?

“Da questo punto di vista ce ne sono più oggi che allora. Io li ho conosciuti i partigiani, quelli veri, e anzitutto non erano solo di sinistra, ma anche liberali e cattolici. Di quello che è successo qui non parlavano volentieri, avevano fermato la colonna con Mussolini sì, ma poi c’era stata l’ombra dell’oro sparito, le inchieste e le voci su chi dopo la guerra poteva contare su ricchezze insperate. Poi c’era il dolore e anche il rispetto dei morti, che qui sono stati tanti da una parte e dall’altra”.

Oggi cosa c’è?

“C’è una memoria che non è condivisa. Nella piazza dove nell’aprile del 1945 fu fermata la colonna in fuga si fronteggiano l’Anpi e i nostalgici, gli uni a urlare slogan e insulti contro gli altri, divisi da un cordone di sicurezza. Purtroppo succede così ogni anno, anche se non riusciamo a farci l’abitudine”.

E voi cosa fate?

“Abbiamo intitolato la piazza a Giulio Paracchini, nome di battaglia ’Gino’, ucciso dalle Brigate Nere sui monti sopra Dongo il 24 aprile 1945. Abbiamo anche fatto un regolamento comunale che vieta in questo luogo le manifestazioni politiche, ma non è servito a niente, l’autorizzazione non la chiedono a noi”.

Quindi siete costretti a subire?

“Anche quest’anno abbiamo dovuto pagare gli operai che all’alba hanno montato le transenne e divisori, abbastanza alti perché i due fronti non possano vedersi, ma le urla e gli slogan si sentono eccome”.

Quale sarebbe secondo lei il modo giusto di convivere con quei giorni?

“Undici anni fa con l’aiuto e la consulenza di un comitato di storici abbiamo aperto a Palazzo Manzi, il luogo in cui fu portato Mussolini subito dopo la cattura, il Museo della fine della Guerra. Lì organizziamo incontri e convegni tutto l’anno e non solo il 25 Aprile per ricordare cosa accadde qui. Il nuovo direttore è preside dell’Istituto Comprensivo e ha coinvolto anche i ragazzi in questo progetto, questo per noi vuol dire onorare la memoria”.