Marcell Jacobs si racconta: "Così ho affrontato le mie paure e sono rinato"

In una lunga lettera c'è il percorso del velocista di Desenzano del Garda

Marcell Jacobs

Marcell Jacobs

Marcell Jacobs è diventato grande, è cresciuto. E la medaglia d'oro nei 100 metri alle Olimpiadi di Tokyo dimostra che questa esplosione del velocista di Desenzano del Garda non è frutto del caso. A raccontarlo è lo stesso Jacobs in una lunga lettera al sito The Owl Post: "Gara dopo gara, ho sempre corso con un asterisco vicino al mio nome. Trovare qualcosa che mi impedisse di fare il tempo-che-avrei-potuto-fare, rendeva la delusione meno amara, perché, in fondo, non è mai stata del tutto colpa mia. Scattava sempre qualcosa nel mio inconscio, giù nel profondo, che finiva col sabotarmi e col farmi finire in un limbo in cui neppure sapevo se essere arrabbiato con me stesso oppure no. Almeno fino all’anno scorso. Fino all’anno scorso dicevo a me stesso che: "Questo sono io, prendere o lasciare. Sono fatto così, mi mancano dei pezzi, e non potrò mai rimetterli tutti assieme"".

Già, fino all'anno scorso, quando il 26enne ha avuto modo di guardarsi dentro, di scandagliare le proprie fragilità. Di rivivere momenti difficili e superarli, anche grazie all'aiuto del proprio staff. "Quando capisci come fare a vincere, la sconfitta inizia a sapere di fango, e l’ultima cosa che vorresti è doverne ingoiare qualche altra cucchiaiata. Nessuno ti può insegnare a vincere, ma solo darti gli strumenti per imparare a farlo da solo, e fino a che la lezione non entra nella testa, la sconfitta può anche avere un buon sapore. Persino il miglior sapore che tu abbia assaggiato fino a quel giorno - prosegue Jacobs -. Nessuno ti può insegnare a vincere perché per arrivare in alto, al limite massimo di quello che hai dentro, devi essere completamente nudo. Nudo, del tutto senza filtri". "Se non sai chi sei per davvero, se non capisci le sofferenze o le mancanze che hai avuto, se non conosci il tuo valore come essere umano, è matematicamente impossibile che tu riesca a mettere in pista tutto quello che serve per distruggere i tuoi muri. Tecnici, fisici e personali - racconta al sito -. Spaccarsi in palestra fa male. Le ripetute fanno male. Fallire fa male. E dalla mia infanzia, e fino al lockdown della primavera scorsa, io non ero del tutto pronto ad accettare il dolore che si deve pagare per la grandezza".

La mente di Marcell va poi alla famiglia e a quel rapporto, per gran parte della sua vita praticamente inesistente, con il padre: "Correre è stata una cura, uno sfogo. Un modo per esprimere me stesso. Però, anche quando sono arrivato ad alti livelli, non riuscivo mai a sentirmi del tutto coinvolto in quello che facevo. A 17, 18 anni, anche se vedevo gli altri andare più forte di me, non mi scattava quel desiderio bruciante di vedere per davvero quanto valessi. E continuavo a fare le cose a metà" spiega. "Dentro di me c’era una voce, una di quelle che bisbiglia, e che se ascolti la musica al volume a cui piace a me, neppure riesci a sentire - continua l'uomo più veloce del mondo. Mi diceva di non provarci per davvero. Di non andare a vedere cosa ci fosse alla fine del rettilineo. Se non dai il massimo e fallisci, non importa, ti sentirai leggero comunque. Ma se dai il massimo e fallisci lo stesso, allora significa che non sei abbastanza. E quindi ecco che il mio cervello, mi ha sempre servito una scappatoia, una volta volta arrivato in pista". Poi la svolta: "Fino all’anno scorso. Fino all’anno scorso perché il lockdown mi ha fatto comprendere tutta la fragilità del momento e tutta l’importanza di ritrovare le mie origini, nella loro completezza. Il Mondo che si è accartocciato nella paura di sparire, con progetti lunghissimi o nuclei famigliari distrutti nello spazio di un attimo, mi ha spinto a voler far pace con la mia storia. Io sono quello che sono, errori e mancanze comprese, ed essere messo di fronte alla delicatezza della vita mi ha risvegliato qualcosa nel profondo. Ho cominciato un percorso, non da solo, ma di cui ho fatto io il primo passo, per imparare a volermi bene per come sono fatto e per capire da dove vengo davvero".

Ed è stato così che Marcell è diventato il campione Marcell: "Abbiamo abbattuto blocchi enormi, fatti di vecchi ricordi, che il tempo aveva reso cemento, e ho imparato che anche se un pezzo di me ha sofferto un vero e proprio abbandono, sbagliare una gara non me lo farà rivivere. Non sono amato e non amo in misura direttamente proporzionale a quello che faccio. Ma sono un uomo, e basta questo. Dall’anno scorso è cambiato tutto, e quando ho smesso di avere paura di prendermi sul serio in pista ho iniziato a sentirmi leggero come non mi ero mai sentito prima. Ho distrutto muri, riallacciato rapporti, compreso che gli spigoli della vita a volte possono ferire, e che quando un animale è ferito non c’è vergogna nel nascondersi. Oggi sono una persona diversa, che quando è arrivata sui blocchi di Torun con il miglior crono europeo e il terzo crono mondiale, non ha sentito paura. Non ha sentito freddo, né caldo. Non ha sentito pressione, né fretta. Ma soltanto voglia di correre veloce, di divertirsi e di fare qualcosa di grande".