SAREZZO (Brescia)
Solitudine, disagi, povertà economica ed educativa ma anche modelli di ricchezza facile che arrivano dai social. Sono tanti i fattori dietro le vicende di microcriminalità e delinquenza che sempre più spesso coinvolgono giovani e giovanissimi. "La scuola non può essere l’unica agenzia educativa" è la constatazione di Ersilia Conte, dal 1993 in ambito didattico prima come docente e ora come dirigente dell’istituto Primo Levi di Sarezzo.
Sarezzo e Gardone Val Trompia finiscono sempre più spesso in cronaca con protagonisti giovanissimi. Come si spiega?
"Diciamo che in questi due paesi c’è una concentrazione di scuole tale per cui qui arrivano ragazzi da tutta la valle, quindi se uno vuole delinquere sa che lì c’è la concentrazione di migliaia di studenti o comunque è più facile che le cose accadano qui, alla fermata del bus o nei momenti di passaggio da e verso le scuole".
Al di là del dato geografico, c’è un disagio giovanile che sfocia poi in delinquenza?
"Oggi c’è un fondo di disagio stabile, perché quando ci sono situazioni di privazione domestica, malcontento, problemi di natura economica, la reazione nella fascia d’età dell’adolescenza può essere di natura anche violenta. Dopo il Covid si è poi amplificato il fenomeno, già dilagante, dell’uso dei media che non attrezzano i giovani alla socialità, all’incontro. Sono tutti collegati ma un po’ più isolati".
Che ruolo hanno i modelli che arrivano dai social per i giovani?
"C’è un po’ il mito della ricchezza, del corpo perfetto, del possesso senza fatica. Sono tutti modelli che concorrono a creare aspettative, che poi a contatto con la realtà vengono disattese, e questo va ad acquire il disagio e la frustrazione con conseguenze che possono essere distruttive".
La scuola cosa può fare?
"La scuola è già oggi un baluardo contro la barbarie, ma non possiamo essere l’unica agenzia educativa. Il territorio della Val Trompia ha lavorato bene, ha cercato e sta cercando di coordinarsi, mettersi in rete per arginare anche la solitudine delle famiglie, ma non è abbastanza".
C’è un tema anche di seconde o terze generazioni? Di difficoltà d’integrazione?
"In generale la seconda generazione è quella che viene meno curata perché sono ragazzi che sanno l’italiano, sono integrati, hanno anche un lavoro, per cui sono dimenticati. Ci sono fiumi di letteratura su questo".
Nel caso di cronaca emerso ieri, emerge la reticenza delle vittime a denunciare. La sorprende?
"No, è abbastanza comune perché c’è la paura delle vittime di scatenare maggiore violenza, oppure che i genitori non li facciano più uscire".
F.P.