Omicidio di Sana Cheema, i pakistani in Italia: "Merita giustizia"

I connazionali: "Noi a disposizione della Farnesina"

Donne della comunità pakistana in una manifestazione in ricordo di Sana

Donne della comunità pakistana in una manifestazione in ricordo di Sana

Brescia, 17 febbraio 2019 - "Come  rappresentante dei pakistani in Italia mi metto a disposizione della Farnesina, dell’ambasciata Italiana in Pakistan e della procura di Brescia qualora si volesse fare luce su quanto accaduto a Sana Cheema e sui risvolti giudiziari degli ultimi giorni. Sono disposto ad accompagnare chi di dovere in Pakistan per poter consentire di accedere al secondo grado del processo nei confronti del padre e del fratello della giovane, accusati dell’omicidio". La dichiarazione arriva da Raza Azif, segretario dei pakistani in Italia, sempre in contatto diretto con l’ambasciata pakistana a Roma. "Il nostro sistema giudiziario, in cui si mischiano le leggi dello Stato e quelle della Sharia, è particolarmente complesso - aggiunge -. Sono pronto a dare una mano a comprendere quello che è accaduto, che potrebbe essere collegato a quella che noi chiamiamo “qisas”, ovvero la possibilità da parte della famiglia di una persona uccisa di “perdonare” l’esecutore dei fatti in cambio di scuse e risarcimento. Si tratta di una facoltà che nell’ordinamento occidentale non è ovviamente prevista. Questa o altre prerogative concesse dalla Sharia potrebbero essere state utilizzate per fare scarcerare i parenti di quella povera ragazza Italiana e Pakistana, che merita giustizia".

La situazione, secondo Azif, non sarebbe chiara e ci sarebbe ancora la possibilità di fare giustizia per Sana, a patto che qualcuno si renda disponibile a ricorrere in giudizio. Intanto non mancano le reazioni. "Oggi il mio pensiero va a tutte le donne che non trovano giustizia –ha detto Laura Bodrini- rispetto ai soprusi subiti e a quelle che come Sana Cheema perdono la vita senza che nessuno sia chiamato a risponderne".  Più incisivo è stato il commento del consigliere regionale Viviana Beccalossi. "Sana Cheema è stata uccisa due volte". Ma del resto era difficile aspettarsi qualcosa di diverso". Mnetre Giorgia Butera, presidente della Comunità Internazionale "Sono Bambina, Non Una Sposa" e presidente Mete onlus, da anni impegnata nella tutela delle spose bambine, e di chi è vittima di matrimoni precoci e forzati, esprime "totale condanna verso la sentenza del Tribunale pakistano che vede assolti il padre, lo zio e il fratello della ragazza italo-pakistana cresciuta a Brescia e uccisa nel 2018 dopo che aveva rifiutato le nozze forzate con un connazionale. Da anni, chiediamo allo Stato italiano, ed al consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di Ginevra, che avvenga una legiferazione a tutela di chi è vittima di matrimoni forzati".