Movida molesta, l’ex sindaco di Brescia perde in Cassazione contro suo fratello: il Comune dovrà risarcire

Brescia, dopo 10 anni la Suprema corte ha dato ragione a Gianfranco Paroli sui rumori notturni al Carmine: “Danni alla salute, violato l’articolo 32 della Costituzione”

Brescia, movida al Carmine (Archivio)

Brescia, movida al Carmine (Archivio)

Brescia – Rumori moltesti a causa della movida? Si può portare in Tribunale il Comune per chiedere il risarcimento del danno, oltre che lo stop agli schiamazzi. Lo ha stabilito la sentenza della Corte di Cassazione (è la numero 14209), che ha accolto il ricorso di Gianfranco Paroli e della moglie per le immissioni di rumore nella propria abitazione al Carmine, e che potrebbe fare da apripista per casi analoghi in tutto il Paese.

La vicenda risale al 2012 e già al tempo era diventato un caso nazionale, non solo per il tema, sentito ovunque ci sia una difficile convivenza tra residenti e movida, ma anche perché il ricorrente è il fratello dell'allora sindaco di Brescia, Adriano Paroli, oggi senatore di Forza Italia.

Da parte sua, Gianfranco Paroli ha sempre dichiarato che quella che sollevava non fosse una "questione di famiglia”, ma che da cittadino comune rivendicava il diritto a veder rispettata la Costituzione, in particolare l'articolo 32 che sancisce il diritto alla salute.

Le cronache del tempo ricordano che, con lui, c’era anche Roberto Margaroli, fratello dell'allora assessore al Commercio Maurizio: per qualche tempo, si profilò anche l'ipotesi di una “lista dei fratelli" nelle amministrative del 2013 (poi vinte da Emilio Del Bono), con il tema della movida al centro del programma, ma il progetto politico naufragò rapidamente.

In questi anni è andata avanti, invece, la battaglia legale, con vicende alterne (così come la situazione movida, che periodicamente torna al centro del dibattito). In primo grado, la coppia aveva avuto ragione, tanto che il Tribunale aveva ordinato al Comune di predisporre un servizio di vigilanza con agenti per disperdere la folla entro la mezz'ora dalla chiusura dei locali.

La Corte d'appello ha invece rovesciato il verdetto, sostenendo che il Comune non ha obblighi specifici di intervento, in assenza di norme ad hoc. Ora, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di Paroli, sostenendo che di fronte alla tutela del privato che lamenti la lesione del diritto alla salute costituzionalmente garantito, del diritto alla vita familiare e della stessa proprietà per immissioni acustiche intollerabili provenienti da area pubblica, la Pubblica amministrazione "è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio del neminem laedere”. Può quindi essere condannata sia a risarcire il danno che ad agire per riportare le immissioni sotto la soglia di tollerabilità. Ora la causa è rinviata alla Corte di appello in diversa composizione, che dovrà provvedere a regolamentare le spese del giudizio di legittimità.