
L’eldorado del contrabbando Maxi-affari tra Como e la Svizzera
di Paola Pioppi
Oro, orologi di pregio e denaro contante. Il grosso contrabbando che avviene ogni giorno lungo il confine italo-svizzero, soprattutto nel tratto comasco, riguarda praticamente solo questi beni. In alcuni casi si trasforma in riciclaggio, una qualifica giuridica che non cambia la condotta di base: il transito di beni tra un Paese e l’altro, nascondendoli per non pagare ciò che è dovuto, creando valori aggiunti o guadagni elevatissimi. Perché se così non fosse, il rischio non avrebbe senso. In caso di beni di pregio, il guadagno netto è del 20%, proporzionato a orologi da 50 o 100mila euro, per esempio. Se si tratta di denaro, il vantaggio può essere anche molto più elevato, e dipende dalla provenienza: evasione fiscale, fondi neri, criminalità. Se si tratta di oro, le cifre sono incalcolabili. Lamine, lingotti, metallo già lavorato: un mercato sterminato. A varcare il confine senza dichiarare beni di valore, non ci sono solo i professionisti del contrabbando, gli spalloni, che lavorano per conto terzi. C’è anche chi lo fa in proprio, come la famiglia di cinesi che nascondeva in auto un orologio in oro rosa, con incastonati diamanti e rubini, del valore di 40mila euro. O la coppia di bresciani che aveva nel cassetto portaoggetti dell’auto due orologi per un valore di circa 100mila euro. Due anni fa l’Amministrazione federale delle dogane svizzere, ha concluso un’inchiesta sul contrabbando di almeno 217 orologi di lusso provenienti dall’Italia e destinati al mercato svizzero, venduti sulla piazza di Lugano. Erano stati contestati tributi doganali per oltre 130mila franchi a un italiano che passava dai valichi in auto, scegliendo sempre percorsi diversi. Ma ci sono anche i 36 pezzi, sequestrati a più riprese dalla Guardia di finanza di Ponte Chiasso, che stanno andando all’asta in questi giorni, il cui singolo valore oscilla dai 20 ai 130mila euro, per un totale di un milione e 800mila euro. Al 2016 risale invece una delle ultime grosse indagini sul contrabbando di oro, contrabbandato in lamine, lingotti o gioielli destinati alla fusione: spalloni che trasportavano anche cinque chili alla volta, nascosti in nel doppiofondo di auto appositamente modificate.
In quel caso, i clienti erano soprattutto oreficerie che facevano raffinare e riportare in Italia il metallo prezioso, rendendo impossibile risalire alla sua provenienza. Uno dei sequestri, aveva riguardato un carico di 176 lamine d’oro utilizzate per realizzare in Italia 140 gioielli commercializzati in evasione dell’Iva.