
Il serbo Ljubisa Vrbanovic conosciuto come Manolo guidò la spedizione omicida
PONTEVICO (Brescia)
"Voglio la certezza che Manolo sia morto. Voglio sapere se chi ha massacrato la mia famiglia è davvero morto". Guido Viscardi ha 63 anni e da trentacinque è un sopravvissuto. Nell’estate del 1990 è l’unico dei figli già sposato, abita con la famiglia a duecento metri dai genitori. Per questo si salva, la notte fra il 15 e il 16 agosto quando nel villino a Torchiera di Pontevico fa irruzione una banda di criminali originari della Serbia. Li guidano Ljubisa Vrbanovic, soprannominato Manolo per le imprese efferate in terra iberica, e Ivica Bajric. Nella mattinata è Guido, che ha in braccio la piccola Sara, a scoprire i corpi dei genitori Giuliano e Agnese Maringoni e dei fratelli Luciano e Maria Francesca.
Una strage a colpi di 357 Magnum Smith&Wesson e di calibro 22 per rapinare un pugno di banconote da centomila lire. Nel maggio 2017 la Corte d’assise di Brescia chiude per morte del reo il processo a carico di Manolo, già condannato in patria a 40 anni di reclusione. Secondo un certificato trasmesso via fax dalle autorità serbe il massacratore di Pontevico è morto per un tumore, a 51 anni, l’11 marzo del 2014, all’ospedale carcerario di Belgrado. "Da noi – si accora Guido Viscardi, mischiando alle sue parole tormento e rabbia – si sono accontentati. Ma a me non basta. Non mi basta un foglio dov’è scritto che è morto per farmi chiudere gli occhi e la bocca. Come si fa a crederlo? Dov’è sepolto? Dov’è la tomba? Se si sapesse, si potrebbe fare il Dna, come chiedo da anni".
Un uomo amareggiato, sconfortato. "A suo tempo si sarebbe potuto fare molto di più. Era lo Stato che si sarebbe dovuto muovere. Noi non siamo stati aiutati. Quando sento che una famiglia colpita da una disgrazia ha ricevuto il sostegno di uno psicologo penso che invece alla mia porta non ha mai bussato nessuno. Anche il Comune di Pontevico, all’epoca, non ha fatto niente".
Una Messa in ricordo, celebrata come sempre alle 9, l’ora in cui il superstite scopre l’eccidio, nel giardino della villetta accanto alla grande croce costruita con il legno del pavimento dove sono stati trucidati i Viscardi. "Ho avuto un infarto. Mezzo cuore se n’è andato. Mi hanno trovato il diabete. Anche i miei quattro figli hanno sofferto di tutto questo. Sono cresciuti vedendo l’angoscia mia e di mia moglie".
Gabriele Moroni