Desirée senza pace, "nuovo processo"

Giovanni Erra, condannato a 30 anni per concorso in omicidio, vuole la revisione del processo

Giovanni Erra

Giovanni Erra

Brescia, 10 gennaio 2019 - È recluso a Bollate da 17 anni con l’accusa di concorso nell’omicidio di Desirée Piovanelli e adesso, dice, «non ce la faccio più». «La verità sancita dalle sentenze non è quella giusta. Le cose sono andate diversamente». Giovanni Erra, l’operaio condannato a 30 anni per il delitto della quattordicenne di Leno, l’unico adulto coinvolto nel delitto compiuto dal branco di coetanei della ragazzina, chiede la revisione del processo. Si dice innocente. E ha incaricato i suoi avvocati, Nicodemo Gentile e Antonio Cozza, di raccogliere prove che lo dimostrino. «Il nostro è un mandato esplorativo – precisa l’avvocato Cozza –. Ci muoviamo in punta di piedi, nell’assoluto rispetto della famiglia Piovanelli. Se non ci saranno gli estremi per depositare istanza di revisione, ci fermeremo». Era il 28 settembre 2002 quando Desirée, studentessa di liceo, fu attirata dagli amici con la scusa di vedere una cucciolata di gattini appena nati nella cascina Ermengarda, a 200 metri dalle case di tutti, Bassa Bresciana. La ragazzina fu ammazzata a coltellate.

Una vendetta per la ribellione a un tentativo di violenza sessuale, fu la ricostruzione dei giudici che condannarono due sedicenni a 18 e 15 anni, e un quattordicenne a 10. Erra, all’epoca trentaseienne, padre di un bimbo, vita movimentata e debiti di droga - nascosta in quel cascinale che oggi è un residence di lusso - si diceva che per Desirée avesse un debole. «Non c’è traccia di Erra nella cascina – lo difende Cozza –. Nessuno ha mai fatto il suo nome. Le sue ammissioni di responsabilità iniziali, poi ritrattate, non corrispondono al vero». Secondo i legali l’uomo ha un alibi di ferro: «Non era laggiù al momento del delitto ma a casa, molti testimoni possono confermarlo. Quando Erra si recò in quel luogo per ragioni che nulla c’entravano con il delitto, scoprì l’omicidio e scappò via. È passato tanto tempo: se c’è qualcuno che sa, parli. Si liberi la coscienza e racconti la verità».

La stessa frase peraltro, l’ha pronunciata più volte in questi anni anche il papà di Desirée, Maurizio Piovanelli, che in estate ha depositato un esposto circostanziato in Procura per fare riaprire le indagini. Piovanelli non ha mai creduto alla ricostruzione processuale. «I mandanti sono ancora in giro – aveva detto –. Dietro l’omicidio di mia figlia c’è stato un tentativo di rapimento legato a qualcosa di molto più grande. Festini a luci rosse organizzati da nomi importanti, superprotetti. Droga. Prostituzione». Piste di cui per ora la difesa di Erra non parla («Non ne sappiamo nulla»). La notizia di una possibile istanza di revisione è accolta positivamente dal padre della studentessa: «Uso le parole del mio assistito, in un certo senso siamo soddisfatti della novità – spiega l’avvocato Alessandro Pozzani –. Se anche Erra si fa avanti è la conferma che quella verità giudiziaria va rivista. Certo, siamo anche preoccupati e attenti, ci interessa conoscere le motivazioni. Da molto chiediamo che chi sa davvero come sono andate le cose parli. Forse qualcuno finalmente ci ha ascoltati».