
Monica Amadini
Brescia, 29 aprile 2020 - «L’emergenza sta amplificando risorse e fragilità della società: così si sta evidenziando in che considerazione teniamo i bambini e in che posto stanno, purtroppo non al primo, nella scala delle priorità". Va dritta al cuore del problema Monica Amadini, ordinario di pedagogia generale e coordinatrice del corso di laurea in scienze dell’educazione e della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Brescia. Se nel lockdown l’infanzia è stata dimenticata dai provvedimenti normativi, non va meglio nelle misure previste per la ripartenza del 4 maggio.
Amadini sottolinea che, tuttavia, la responsabilità è collettiva. "Questa assenza era abbastanza strutturale già in precedenza. In generale, le scelte sono sempre adulto-centriche e la politica è a lo specchio di una società che ha messo in secondo piano l’infanzia". Ma quali conseguenze può avere l’isolamento sulla crescita dei bambini? "Le misure restrittive possono generare disturbi emotivi di varia intensità, ma vanno valutate le singole specificità. Non si può pensare che il disturbo da stress posta traumatico abbia solo una caratterizzazione di tipo clinico".
Lanciare allarmismi rischia di generare ansia tra i tanti genitori che stanno facendo un buon lavoro per aiutare i bambini in questa fase. Dall’altro canto ci sono situazioni di vero disagio che rischiano di passare inosservate se il problema dell’effetto della chiusura viene generalizzato. Ascoltare i più piccoli, creare delle routine, condividere delle attività, lasciare il tempo di imparare a fare da soli, consentire momenti di solitudine, avere dei riti di famiglia: sono tutti accorgimenti che possono aiutare a superare meglio l’isolamento sociale. Quanto alla riapertura delle scuole a settembre, per Amadini serve la collaborazione tra tutti. "Ora guardiamo ai Paesi del Nord che alle spalle hanno politiche strutturali sull’infanzia. Se hanno potuto riaprire o addirittura non chiudere, è anche perché la buona parte delle attività si svolge all’aperto, cosa che non sempre viene accettata dai genitori delle nostre scuole. È una sfida culturale: non possiamo chiedere alla politica di mettere al centro i bambini se come genitori e adulti non siamo disposti a rivedere le nostre categorie educative".
Un banco di prova potrebbero essere le attività estive: invece dei grandi centri di aggregazione una soluzione potrebbe essere il modello di educazione diffusa, con educatori nei parchi dei quartieri. "Ripartire – conclude Amadini – richiederà comunque di adeguarsi alle indicazioni di salute pubblica. La priorità dovrebbe andare ai figli di chi lavora, alle famiglie in situazioni di povertà educativa, ai bambini che hanno vissuto situazioni problematiche. Mettere al centro l’infanzia significa anche questo e richiede uno sforzo da parte di tutti".