FEDERICA PACELLA
Cronaca

Anticorpi alleati del Covid Ecco chi si ammala di più

L’ultima scoperta: neutralizzano le difese del sistema immunitario. La loro presenza raddoppia negli over 65, i più soggetti a forme gravi

di Federica Pacella

Si chiamano autoanticorpi e neutralizzano gli interferoni, molecole che hanno un ruolo essenziale nella corretta risposta immunitaria al Covid. Le persone che li hanno o che hanno difetti genetici che condizionano l’espressione di questi alleati della nostra difesa tendono ad ammalarsi di forme particolarmente gravi della malattia da coronavirus Sars-CoV-2. Una scoperta che parla anche bresciano quella realizzata dal consorzio internazionale di ricercatori che, sin dai primi mesi della pandemia, ha iniziato a studiare le cause dell’estrema variabilità della malattia da Sars-CoV-2.

Il gruppo fa capo a tre grandi istituti di ricerca, rinomati a livello mondiale nel panorama della ricerca e della salute pubblica, quali il National Institute of Health di Washington, la Rockefeller University di New York e l’Università di Parigi. L’Italia ha preso parte insieme ad altre 38 nazioni con realtà quali Asst-Spedali Civili di Brescia, Università di Brescia, Università di Milano-Bicocca, Irccs Ospedale San Raffaele, Milano, Asst Ospedale San Gerardo di Monza e Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia. Gli ultimi risultati di questo gruppo internazionale sono stati riassunti in due lavori scientifici pubblicati sulla rivista Science Immunology. Analizzando campioni di oltre 40mila soggetti provenienti da tutti i contenenti, è stato identificato un particolare gruppo di anticorpi, gli autoanticorpi per l’appunto, che determinano un decorso più severo di Covid-19. Questi autoanticorpi neutralizzano gli interferoni di tipo I, che sono tra le molecole più importanti della risposta immunitaria.

Nella popolazione generale, la prevalenza di autoanticorpi anti-interferoni di tipo I nel sangue raddoppia dopo i 65 anni e circa il 20% di tutti i casi fatali di Covid-19 sono associati alla presenza di questi autoanticorpi neutralizzanti. Il contributo di Brescia allo studio è consistito nell’identificazione e caratterizzazione dei pazienti Covid-19 e nella raccolta del materiale biologico residuo dei prelievi dei pazienti Covid.

Alla ricerca, svolta nell’ambito di un progetto finanziato da Regione Lombardia, ha contribuito personale dell’Asst Spedali Civili (Luisa Imberti, Alessandra Sottini e Virginia Quaresima del Laboratorio Crea, Alessandra Tucci dell’Ematologia, Ruggero Capra del Centro Sclerosi Multipla, Gabriele Tomasoni della II rianimazione e Camillo Rossi della direzione sanitaria) e dell’Università degli studi (Francesco Castelli e Eugenia Quiros-Roldan della clinica di malattie infettive e tropicali e Francesco Scolari della nefrologia). Sul fronte diagnostico e terapeutico, la scoperta può avere immediate ripercussioni. Il riconoscimento precoce di questi autoanticorpi soprattutto nella popolazione degli anziani e nei soggetti che presentano già mutazioni che alterano il normale funzionamento del sistema immunitario potrebbe permettere nel prossimo futuro l’identificazione dei pazienti più a rischio e aprire le porte a nuovi approcci terapeutici basati sull’utilizzo di anticorpi monoclonali. In caso di infezione, sono i soggetti con autoanticorpi anti-interferoni di tipo I che dovrebbero essere prontamente ricoverati per assicurare una precoce gestione della clinica associata al Covid-19 e sono sempre i soggetti con autoanticorpi che dovrebbero avere la più alta priorità nella vaccinazione. Altra importante ripercussione si avrebbe nella donazione di sangue e plasma di soggetti guariti dal Covid-19, perché tutti gli emocomponenti in cui si rileva la presenza di autoanticorpi dovrebbero essere esclusi dalla donazione.