Brescia, 21 marzo 2024 – Una speranza per i malati di Alzheimer ereditario, ovvero per chi presenta una forma genetica della malattia. Per la prima volta in Italia, all’Irccs Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia è stato somministrato un anticorpo monoclonale (lecanemab) in un paziente con malattia di Alzheimer ereditaria.
La somministrazione è avvenuta all’interno di un programma di ricerca farmacologica sperimentale, dedicato alle persone con una forma genetica di questa malattia. "Il lecanemab è approvato negli Usa come terapia per la malattia non genetica – spiega Samantha Galluzzi, geriatra e ricercatrice dell’Irccs Fatebenefratelli di Brescia -, mentre in Europa non è ancora disponibile. Va detto che le forme genetiche sono rare, 1% circa dei malati, ma hanno un forte impatto sui pazienti e sui caregiver, in quanto presentano uno sviluppo giovanile dei sintomi, tra i 40 e i 50 anni d’età. Per questa ragione, il programma prevede che l’anticorpo in questione sia somministrato non solo a chi ha già sviluppato i sintomi, ma anche a chi è portatore della variante patogenetica: in pratica lo somministriamo per rallentare l’esordio della malattia".
Proprio sulla malattia di Alzheimer ereditaria, l’IRCCS bresciano nel 2020 aveva avviato il progetto DIAN, con la Washington University di St. Louis, per supportare le famiglie italiane nel riconoscere questa malattia e nell’affrontarla.
Nella maggior parte dei casi, infatti, la malattia di Alzheimer si presenta come “caso isolato“ all’interno di una famiglia ed esordisce dopo i 65 anni: si parla in tal caso di Alzheimer di tipo sporadico e non implica ereditarietà. In circa l’1% dei casi, invece, può accadere che più persone della stessa famiglia manifestino la malattia di Alzheimer prima dei 65 anni. La persona portatrice di una mutazione genetica per l’Alzheimer ha la quasi assoluta certezza di sviluppare i sintomi della malattia nel corso della propria vita e ciascun figlio ha una probabilità del 50% di ereditare tale mutazione, indipendentemente dal sesso del genitore e del figlio. È quindi fondamentale riuscire ad identificare le persone portatrici di una mutazione genetica prima che i sintomi esordiscano, al fine di testare interventi farmacologici “preventivi“.