FRANCESCO DONADONI
Cronaca

Alzano Lombardo, retroscena choc In ospedale caccia alle mascherine anche nelle cassette degli estintori

La disperazione di medici e infermieri alla ricerca di protezioni dopo i primi pazienti positivi. Il loro racconto in Procura sui primi giorni del virus fino all’arrivo dei militari a inizio marzo.

Alzano Lombardo, retroscena choc In ospedale caccia alle mascherine anche nelle cassette degli estintori

di Francesco Donadoni

La situazione all’ospedale di Alzano Lombardo era ormai fuori controllo. Medici e infermieri del "Pesenti Fenaroli" arrivarono perfino a rompere i vetri delle cassette degli estintori per prendere le mascherine e usarle in reparto e ripararsi dal virus. Era accaduto anche questo, nel presidio della Valle Seriana: dopo i primi pazienti risultati positivi, il 23 febbraio, il personale si ritrovò spiazzato. E il racconto sulle cassette rotte, un gesto disperato, è emerso dalle testimonianze degli operatori sanitari ascoltati nei mesi scorsi in procura. Il contagio in ospedale stava covando da giorni. Mancavano anche i percorsi filtro.

Fu con l’arrivo dei militari, la sera del 6 marzo 2020, che all’ospedale di Alzano Lombardo arrivarono mascherine, materiale di protezione e altri dispositivi. Ma 35 operatori sanitari in servizio si infettarono. Uno di loro, Marino Signori, 61 anni, di Nembro, medico del lavoro, il 27 febbraio venne contagiato dal virus. Alla mamma, come ha ricordato la sorella, disse: "Mamma, mi sa che mi sono infettato". Si ammalò e il 2 aprile morì. Per i 35 operatori sanitari infettati per la procura ci sono responsabilità penali. Quindi, la chiusura e la riapertura del Pronto soccorso dell’ospedale seriano, la domenica del 23 febbraio, fu influente, perché durante l’inchiesta, come hanno spiegato i magistrati nella chiusura delle indagini, c’erano già dei focolai anche all’interno della struttura sanitaria, un centinaio di infetti (relazione del consulente della procura, il microbiologo Andrea Crisanti). Per questo filone sono indagati Francesco Locati, direttore generale dell’Asst di Bergamo est, e Roberto Cosentina, ex direttore sanitario dell’Asst Bergamo est (entrambi assistiti dall’avvocato Zambelli), da cui dipende l’ospedale di Alzano Lombardo. E Giuseppe Marzulli, all’epoca direttore medico del Presidio 2 (cui fanno capo gli ospedali di Alzano Lombardo e Gazzaniga). I tre sono accusati di epidemia colposa e omicidio e lesioni colposi. In particolare, i primi due, secondo l’accusa, nonostante le ripetute circolari della Regione Lombardia, non avrebbero verificato la "disponibilità di Dpi"(mascherine FFP2, FFp3, guanti, tute, sovrascarpe) all’interno delle strutture ospedaliere che facevano capo all’Asst Bergamo est. Secondo le contestazioni non avrebbero individuato una procedura per istituire percorsi diversificati e istituire procedure di isolamento. A Locati e Cosentina viene anche contestato la falsità ideologica commessa da un pubblico ufficiale. Per i magistrati, il direttore sanitario non avrebbe scritto il vero nella nota indirizzata il 28 febbraio 2020 all’Ats di Bergamo in cui ricordava che "sin dal 23 febbraio, non appena avuto il sospetto e la successiva certezza della positività al tampone sono state immediatamente adottate le misure previste". Sempre secondo l’accusa Locati avrebbe mentito in alcuni passaggi di due due relazioni inviate l’8 marzo e il 10 aprile 2020. All’allora assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera, viene scritto che nell’arco di tempo in cui il Pronto soccorso dell’ospedale di Alzano era stato chiuso e riaperto "si è provveduto alla sanificazione degli ambienti" e che "dalle prime segnalazioni sono stati fatti tamponi a pazienti con sintomatologie respiratorie e anche agli altri pazienti, agli operatori sanitari e a tutto il personale".