Sull’Adamello la sabbia del Sahara: dal drone le foto choc

Oggi il ghiacciaio dell'Adamello resta il più grande delle Alpi italiane. Ma gli esperti avvisano: "Così si scioglie"

Adamello, i ricercatori e la sabbia del Sahara (nel riquadro)

Adamello, i ricercatori e la sabbia del Sahara (nel riquadro)

Brescia, 18 agosto 2019 - Le immagini riprese dal drone rivelano pennellate rossastre che colorano il ghiacciaio dell’Adamello, tra la Val Camonica e la Val Rendena. La sabbia del deserto del Sahara, portata dai venti fin sulle Alpi, insieme alla neve di fine ottobre e inizio maggio, crea un effetto visivo suggestivo, che allo stesso tempo però nuoce alla salute del ghiacciaio, perché accelera la fusione, aggravando i danni già in corso a causa dei cambiamenti climatici.

Oggi il ghiacciaio dell’Adamello è ancora il più grande delle Alpi italiane, nonché d’Italia, ma la sua estensione si è ridotta fortemente nei decenni. Alla sua massima espansione, nel 1860, ricopriva più di 30 chilometri quadrati, mentre oggi sono meno di 15. Negli ultimi 10 anni i dati dicono che si ritira di decine di metri in lunghezza e di oltre 4 metri in spessore alla fronte del Mandrone, ma perde oltre un metro anche nella porzione più alta del Pian di Neve. Le lingue radiali, come quella del Mandrone si sono ritirate di centinaia di metri, altre sono estinte. Responsabili sono in primis le alte temperature.

Secondo l’Intergovernmental panel on climate change, le temperature in questa regione delle Alpi aumenteranno tra uno e quattro gradi centigradi entro il 2050 e tra tre e sei entro la fine del secolo, determinando così l’inevitabile estinzione dell’intero ghiacciaio. Ad accelerare la perdita di massa potrebbe esserci poi il continuo annerimento, visibile sulla superficie del ghiaccio, prodotto dal deposito delle polveri trasportate dal vento e dallo sviluppo di sostanze organiche che aumentano la predisposizione del ghiacciaio ad assorbire la radiazione solare e a fondersi. Sul ‘gigante bianco’ è sempre vigile l’occhio del Servizio glaciologico lombardo, associazione scientifica no-profit che fa un attento monitoraggio. «I dati rilevati – spiega l’operatore dell’Sgl Amerigo Lendvai – confermano un trend molto negativo: non avendo infatti bacini di accumulo a quote elevate, questo settore sta subendo più di altri lombardi le conseguenze dei cambiamenti climatici. In molti anni dopo il 2000 l’intero ghiacciaio è rimasto privo di neve residua prima di fine estate, andando quindi incontro a una perdita di massa sull’intera estensione. La scorsa estate a 3.150 metri, sul Pian di Neve si sono persi 1,6 metri di ghiaccio, a 2.850 di quota oltre 4 metri, mentre nella porzione più bassa del Mandrone a 2.650 negli ultimi 13 anni la perdita di spessore è stata di circa 50 metri». La tendenza continua a peggiorare. La neve caduta quest’anno a poco serve, infatti, a fronte delle temperature record. L’8 agosto, durante una missione sul Mandrone, la lettura delle paline ha fatto rilevare che, a quota 2.830, in 26 giorni si sono persi già 40 centimetri di neve e 100 di ghiaccio. Sulla fronte del ghiacciaio, a circa 2.600 metri, siamo ormai a - 2 metri di ghiaccio.