Pugni, testate, umiliazioni: così venivano torturati gli ospiti della residenza per disabili di Brescia

Gli operatori sanitari del centro Giuseppe Seppilli inchiodati dai video delle telecamere nascoste

Il video delle violenze sui disabili nella residenza Giuseppe Seppilli di Brescia

Il video delle violenze sui disabili nella residenza Giuseppe Seppilli di Brescia

Brescia – La segnalazione ai carabinieri del Nas arriva il 4 aprile scorso dalla direzione sociosanitaria della Asst del Civile che gestisce la Giuseppe Seppilli, l’unica residenza pubblica per disabili di Brescia. All’interno della rsd, circa 40 pazienti (tra cui psichiatrici) e 30 operatori, qualcosa non torna.

Un’ospite con un ritardo mentale, incapace di muoversi se non in carrozzina, viene trovata con profonde ferite alla testa e al volto. Impossibile che se le sia procurate da sola. Un altro paziente ha lamentato di essere stato picchiato.

Un terzo ha avuto un misterioso cambio della terapia farmacologica. Personale e dirigenza del centro di via Foro Boario premono per sapere che cosa c’è che non va. Le risposte arrivano dalle telecamere nascoste installate dagli inquirenti a metà giugno. È bastato un mese di osservazione per tirare le somme: 5 oss si sono trasformati in aguzzini. Il gip, Angela Corvi, ha disposto per loro il divieto di avvicinamento sotto i 500 metri nei confronti dei disabili - 9 le vittime - uomini e donne di varie età (c’è persino una 92enne) per maltrattamenti in famiglia aggravati.

La pm Lisa Saccaro aveva chiesto l’interdittiva (anche per un’infermiera) e i domiciliari per due oss accusati di violenze non solo psicologiche ma anche fisiche, quando non di tortura.

Ma il giudice ha ritenuto sufficiente interrompere il contatto con i pazienti per scongiurare la recidiva, ritenendo fondati gli indizi a carico solo di 5 oss, 4 uomini e una donna.

"Le immagini dimostrano” come “abbiano sistematicamente insultato, minacciato e trattato male i pazienti, non dimostrando il benché minimo rispetto per la loro dignità. Si sono presi gioco dei malati, facendo leva sulla loro fragilità e incapacità di comprendere pienamente e di difendersi, negando o ritardando trattamenti primari”. 

Ottanta gli episodi contestati: dagli insulti ("non capisce un ca...o sto co...one”) alle tirate di capelli, dalle esibizioni di dito medio in risposta a richieste di aiuto ai pizzicotti, agli schiaffi e ai pugni, passando per le minacce (“Sto pezzo di me… a non se ne va”, “Acciret’”, in dialetto campano “ucciditi”).

C’è chi instaurava giochini con una paziente dall’età mentale di 5 anni, esortandola a dare risposte a tono per deriderla: "’La mia?’ ‘Bambina’ ‘È una?’ ‘Birichina’, ‘Di quelle?’ ‘Giuste’. ‘Mongo’ ‘loide’, ‘Mongoloide devi dire, tu sei una mongolina’”, era il refrain per la malcapitata, a cui non erano risparmiate testate contro le porte (“Magari la vizio, una botta al giorno per un mese”).

E ancora, un altro, afasico e refrattario all’acqua, veniva lasciato negli escrementi, obbligato a un trattamenti con acqua fredda, con i genitali schiacciati contro le sponde del letto per farlo soffrire. C’era poi chi veniva imboccato a suon di pugni, colpi di vassoio, guanti premuti in faccia.

"Un’impressionante serie di atti umilianti capaci di instaurare un regime di vita penoso”, scrive il gip, posti in essere da soggetti “senza scrupoli”, che “distorcevano le proprie mansioni asservendole a un bisogno di rivalsa e sfogo nei confronti di chi dovevano curare e servire”.