Omidicio Roveri, molti indizi ma nessuna prova: due anni a vuoto

A Bergamo la Procura chiede di archiviare il caso

La polizia sulla scena del crimine

La polizia sulla scena del crimine

Bergamo, 19 febbraio 2019 - Due anni e due mesi dopo, la stessa domanda che ritorna: chi ha ucciso Daniela Roveri, affermata e tranquilla manager di Bergamo? Un mistero su cui ora incombe anche il fardello della richiesta di archiviazione da parte del pm Fabrizio Gaverini (che ha ereditato il fascicolo dal collega Davide Palmieri), alla luce del fatto che non è possibile chiedere un’ulteriore proroga delle indagini. A meno che arrivino elementi importanti da far riaprire il caso a carico di ignoti.

Neppure la scienza, per ora, ha saputo fornire un appiglio per tentare di risolvere il giallo. Sono tanti gli interrogativi in sospeso: chi ha ucciso la manager, una vita come le altre, fatta di lavoro, amicizie, viaggi. E perché ha ucciso in quel modo, con un fendente che ha reciso la carotide con un colpo secco. E ancora: che fine ha fatto il suo cellulare, rimasto acceso per un paio di giorni dopo l’omicidio? E la sua borsa?

Silvia Armati, madre di Daniela, una signora che ha sempre evitato taccuini e telecamere, lo scorso dicembre, alla scadenza dei due anni, si era lasciata sfuggire questa frase: «Credo sempre nella giustizia».

Martedì 20 dicembre 2016, sono le 20.30. Daniela Roveri, 48 anni, rientra dal lavoro alla Icra Italia Spa di San Paolo d’Argon, azienda specializzata in prodotti in ceramica. Lei è responsabile amministrativa. Parcheggia sotto casa, in via Keplero 11, a Colognola, quartiere cittadino. Pochi minuti viene uccisa nell’ingresso del palazzo, con una coltellata alla gola. Il killer ha colpito in pochi attimi, la mano ferma, ha bloccato la sua vittima con un braccio, probabilmente tappandole la bocca ma lasciando anche due tracce organiche, su una guancia e su un dito di Daniela. Poi è scappato portandosi via la sua borsetta, mai ritrovata, con dentro un iPhone. Da allora non c’è mai stata una svolta, nelle indagini. Non ha portato a nulla la pista concentrata su un amico della Roveri, massaggiatore impegnato in palestra che anche la manager frequentava. Aveva un alibi di ferro, per l’ora dell’omicidio.

Nulla dai rapporti di vicinato e dall’ambiente di lavoro: alla polizia viene riferita una presa di posizione della Roveri, in azienda, contro l’assunzione di una nuova segretaria. Anche da lì, nessun elemento concreto.

Poi il ritrovamento di due tracce, di un uomo, su una guancia e su un dito della vittima: la firma dell’assassino. Una scoperta che sembrava incoraggiare gli investigatori. Ma il materiale organico ha permesso ai genetisti della polizia scientifica di leggere solo l’aplotipo Y, la componente per linea maschile del Dna, che su un territorio ampio potrebbe essere comune a molte persone. Poi sono spuntate anche affinità tra quell’aplotipo e un Dna ignoto, completo stavolta, trovato in un sacchetto non lontano dalla casa dell’omicidio di Gianna Del Gaudio, a Seriate. Ma anche il coinvolgimento del Ris — ingaggiato per estrapolare ogni informazione possibile su quell’Y isolato a Colognola — si è rivelato poco utile. Si è proceduto al confronto di quel mezzo Dna con i vicini di casa della vittima, con i colleghi di lavoro, ma nulla.

Confronti, infine, con la banca dati italiana del Dna, ormai attiva. Ma anche con i profili, noti o ignoti, isolati durante le indagini di altre procure, su tutto il territorio nazionale: rapine degenerate in episodi di violenza, abusi sessuali, la squadra mobile ha lavorato su una casistica precisa. I confronti hanno sforato quota mille, ma il mistero resta.