La chiesetta torna alla Regione

Ex Riuniti, annullata la sentenza che dava ragione ai musulmani che avevano acquistato la struttura

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di Francesco Donadoni

La chiesetta agli ex Riuniti di Bergamo torna a essere proprietà di Regione Lombardia. La Corte d’Appello di Brescia lo scorso 23 febbraio ha reso inefficace la decisione di primo grado del tribunale di Bergamo secondo cui il Pirellone aveva fatto valere il proprio diritto di prelazione fuori dai tempi stabiliti dalla legge e aveva addirittura messo in atto una condotta discriminatoria. "Regione Lombardia si è comportata in modo discriminatorio e dovrà restituirci l’ex chiesa, acquistata legittimamente" avevano commentato il 7 ottobre 2020 i vertici dell’associazione religiosa, assistiti dagli avvocati Andrea Di Lascio e Nabil Ryah. Ma quest’ultima sentenza ribalta di fatto la situazione. La Corte d’appello ha basato la sua decisione su un profilo tecnico, riguardante i poteri di revoca della delibera di esercizio della prelazione da parte del giudice ordinario. Per capire che cosa significa, bisogna risalire al 25 ottobre 2018, quando i musulmani si erano aggiudicati la chiesetta partecipando all’asta indetta dall’Asst Papa Giovanni XXIII (controllata dalla Regione) spiazzando gli altri partecipanti con un’offerta di oltre 452mila euro e un rialzo dell’8%, tagliando fuori dai giochi anche la Comunità ortodossa romena, che dal 2015 usufruiva dell’immobile in comodato d’uso gratuito. Il giorno successivo all’asta il governatore Attilio Fontana aveva dichiarato che era sua intenzione salvaguardare a tutti i costi la chiesetta ("simbolo della cristianità") esercitando il diritto di prelazione. Una decisione, secondo i musulmani, figlia della volontà di impedire loro l’acquisto del bene, per via della loro religione. Un’aggiudicazione che aveva sollevato moltissime polemiche: l’obiettivo della comunità islamica cittadina era aggirare la legge regionale “anti-moschee“ che vietava la costruzione di nuovi luoghi di culto in Lombardia. Da qui la decisione dell’Associazione di acquisire un immobile che fosse già adibito al culto religioso. Solo successivamente si è scoperto che c’era un cavillo che vincolava la chiesetta al culto cristiano e dunque non sarebbe mai stato possibile "trasformarla" in una moschea. L’associazione aveva fatto quindi ricorso al tribunale civile, sostenendo la "natura discriminatoria" del documento con cui il Pirellone aveva esercitato la prelazione sull’immobile. Di fronte alla sentenza sfavorevole del giudice civile, la Regione aveva a sua volta annunciato ricorso. Ora, tutto gira proprio attorno al dispositivo di revoca della delibera di esercizio della prelazione: secondo la Corte d’appello, infatti, il giudice di primo grado non avrebbe potuto revocarla perché non rientra nei suoi poteri revocare un atto amministrativo di quel tipo.