GABRIELE MORONI
Cronaca

Caso Yara, in cella da Bossetti: il giallo del consulente

Entra in carcere a Bollate con un falso nome. Il legale dell'uomo: "Voglio sapere chi è"

Massimo Bossetti

Milano, 25 settembre 2019 - Storia senza fine, quella dell’omicido di Yara Gambirasio e di Massimo Bossetti, l’uomo condannato in via definitiva all’ergastolo per la morte della tredicenne di Brembate di Sopra. Mistero si aggiunge a mistero, ombra a ombra. L'ultimo enigma è legato al misterioso personaggio che in una non meglio precisata mattinata di fine agosto-inizio settembre si sarebbe presentato in carcere a Bossetti come «Cesare Marini consulente informatico della procura di Brescia». Al muratore di Mapello, trasferito dalla casa circondariale di Bergamo a Bollate lo scorso maggio, lo sconosciuto avrebbe suggerito una nuova strategia difensiva e ipotizzato possibili sviluppi sul fronte di quella che è la prova che lo schiaccia in una cella: il suo Dna rimasto impresso sugli indumenti della tredicenne di Brembate di Sopra.

Cominciamo dalla fine (momentanea). Il Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, smentisce che il singolare abboccamento sia mai avvenuto: «Nessun incontro, nessun colloquio, fra il detenuto Massimo Bossetti e una persona che, a detta dello stesso detenuto, si sarebbe qualificata come perito informatico del Tribunale di Brescia. A seguito di opportune verifiche e accurati controlli effettuati all’interno della Casa di Reclusione di Bollate nel periodo in cui si sarebbe svolta la vicenda, risulta priva di fondamento la notizia di un colloquio». Luigi Pirandello sorride accarezzandosi il pizzetto. La situazione lo avrebbe divertito. Sì, perché è stato lo stesso Bossetti a raccontare l’incontro con lo strano visitatore (che portava al collo un ‘cartellino’) venuto a elargirgli informazioni e consigli. Piuttosto contrariato, lo ha rimbalzato invitandolo a rivolgersi alla sua difesa. Era tanto seccato che avrebbe anche voluto denunciare, ma il difensore Claudio Salvagni lo ha dissuaso: non ne valeva la pena.

Nessun visitatore risulta registrato all’ingresso del carcere come Cesare Marini. Ma l’incontro non è avvenuto nell’ambiente deputato e ufficiale, ossia la sala colloquio, ma nel corridoio che porta ad esso. Possibile spiegazione: il visitatore è entrato nella casa di reclusione, dove le celle sono aperte dalle 8 alle 20, registrandosi alla portineria con il suo vero nome (ecco perché non risulta quello di Cesare Marini) e si è presentato come Marini quando ha incrociato Bossetti e l’ha abbordato. «A questo punto anche noi vogliamo sapere chi è», scandisce Salvagni.

E' un fatto che il vero Marini, informato per ‘vie ufficiali’, crede che l’incontro fra Bossetti e il ladro delle sue generalità ci sia stato davvero, tanto che attraverso il suo legale, Vittorio Arena, ha presentato una denuncia contro ignoti per sottrazione d’identità. Quella mattina Marini era impegnato in una perquisizione, contornato da una quarantina di carabinieri. Dopo la denuncia è stato sentito più volte dai carabinieri. Per il resto preferisce passare la palla all’avvocato e a uno stringato comunicato per ribadire di non avere mai fatto la conoscenza del detenuto Bossetti e di scegliere il silenzio più rigoroso. Quello di Cesare Marini è il nome di un noto informatico di Brescia. Con Fulvio Guatta e Andrea Valeri ha firmato la perizia che ha messo almeno un punto fermo sulla drammatica quanto oscura fine di Marco Pantani: la notte del 14 febbraio 2014 il Pirata non morì per overdose e il corpo venne spostato in quella camera d’albergo subito dopo il decesso o comunque prima dell’arrivo della polizia. I suoi rapporti con il caso Yara-Bossetti sono stati molto tenui, non legati direttamente al suo lavoro e alla sua persona, ma al fatto che lo studio venisse saltuariamente frequentato in passato da due tecnici che se ne occupavano.