Roberto Canali
Cronaca

Profughi al lavoro in chiese e oratori in cambio del vitto

In provincia di Sondrio sono circa 350. Il vescovo: la comunità cristiana sta facendo il possibile

I profughi ospitati dalla Caritas a Tresenda (National Press)

I profughi ospitati dalla Caritas a Tresenda (National Press)

Sondrio, 10 settembre 2015 - Sono finiti i tempi del sacrestano Ecclesio che sapeva cucinare alla perfezione il coniglio con i funghi e l’unica «suoneria» con cui aveva dimestichezza era quella delle campane, presto il suo posto sarà preso da Abdul che mangia il cous cous e quando può telefona ad Accra per rincuorare la famiglia.

Come lui in provincia di Como ce ne sono mille (350 circa in provincia di Sondrio), arrivati un po’ dovunque dal Nord Africa e dalla fascia Sub sahariana, con il sogno di una vita migliore in Europa. Anche se Frau Merkel ha aperto loro le porte molti sanno che dovranno rimanere ancora a lungo in Italia, non potendo fregiarsi dello status di rifugiati politici. Così la loro unica speranza è in Papa Francesco che ha allertato parroci e diocesi per l’accoglienza. Lo sanno bene il vescovo Diego Coletti e il direttore della Caritas, Lariana, Roberto Bernasconi, che da mesi si stanno facendo in quattro per accogliere i rifugiati.

Praticamente esauriti i posti a Como, dove ne sono ospitati oltre trecento, mentre in provincia se ne contano altri settecento. Esauriti i posti anche all’interno dell’ex-caserma di via Borgovico, messa a disposizione dall’amministrazione provinciale, mentre la tendopoli del Bassone, annunciata e per fortuna mai attività, potrà servire al più come centro di smistamento.

«La comunità cristiana comasca sta facendo tutto il possibile per l’emergenza, c’è da augurarsi che facciano la loro parte anche i Comuni e le associazioni - spiega il vescovo Diego Coletti - Nel volto di ogni essere umano è impresso il volto di Cristo. I flussi migratori ci ricordano che la globalizzazione non è soltanto un’opportunità di arricchimento per i mercati: anzi sono proprio le iniquità, come le definisce Papa Francesco, a costringere le persone a muoversi in massa, a causa di guerre, speculazioni e ingiustizie spesso alimentate proprio da quel mondo benestante che poi fatica ad accogliere profughi e migranti. Le soluzioni non sono, purtroppo, immediate e nemmeno semplici, l’oceano, però, è fatto di tante piccole gocce e si cambia con il cominciare a fare, ciascuno e fino in fondo, la propria parte».

Non si tira indietro neppure la diocesi di Milano, che tra Erba e Cantù ha accolto una trentina di profughi negli appartamenti di proprietà della curia normalmente riservati alle famiglie in difficoltà. Adesso che il Papa ha chiesto di aprire le porte delle parrocchie si libererà qualche posto in più, anche se ai ragazzi dello Zaire e dello Zambia verrà chiesto di rendersi utili, prendendo in mano la ramazza per tenere pulite chiese e oratori, quello che un tempo facevano i sacrestani.

«OCCORRE coinvolgere tutta la comunità parrocchiale, facendo fiorire attorno alla presenza dei migranti una rete virtuosa di presenze e collaborazioni - ricorda don Angelo Rica - Avviare micro-progetti di lavoro socialmente utile, ovviamente gratuito, perché il bighellonare dei migranti sugli scalini della casa parrocchiale sfitta sarebbe offensivo della loro dignità e di quella di chi lavora col sudore della fronte, e di quella di chi è senza lavoro e senza sussidio di disoccupazione».