Latte, cade il regime delle "quote". L'eredità: multe per 40 milioni

Attenzione su un obiettivo: evitare pratiche di mercato sleali di Valentina Bertuccio D'Angelo

Manifestazione allevatori Coldiretti per fine regime "quote  latte" con Roberto Moncalvo

Manifestazione allevatori Coldiretti per fine regime "quote latte" con Roberto Moncalvo

Quote latte addio, il sistema che per 30 anni ha regolamentato la produzione delle stalle è andato in pensione, ma lo ha fatto lasciando un incubo sui produttori: il rischio concreto - ha sottolineato Coldiretti - che arrivino nuove multe, stimate in circa 40 milioni di euro per il superamento da parte dell’Italia del proprio livello quantitativo di produzione assegnato dall’Unione Europea. Il dato preoccupante emerge dal “Dossier sull’attuazione delle quote latte in Italia” presentato ieri durante la mobilitazione degli allevatori per la fine del regime quote latte, a Roma in Piazza del Foro di Traiano con la pronipote della mucca “Onestina”, simbolo della battaglia per il Made in Italy. Proprio sulla qualità si basa la sfida da vincere per tornare ad avere un equo riconoscimento per i produttori schiacciati dalle multinazionali.

Lodi, 1 aprile 2015 - Odiate, anzi maledette per 31 anni. Ora che, però, le quote latte vanno in pensione. All’Italia lasciano 40 milioni di multe per sforamento, che potranno essere rateizzate e una generazione di allevatori che si sente lanciata nel vuoto senza la rete di protezione. Un assaggio di quello che succederà a partire da oggi, quando la produzione di oro bianco in Unione europea tornerà a essere regolata dalla mano invisibile di Adam Smith, si è già visto nei mesi scorsi con il crollo del prezzo alla stalla da 41 centesimi al litro nel gennaio 2014 a 36 centesimi un anno dopo. Trentasei centesimi: non sufficienti neppure a coprire il costo di produzione, che in Italia si aggira intorno a a 40 centesimi, figurarsi ad avere un guadagno. I produttori lombardi fanno il 42% del latte italiano (4,5 milioni di tonnellate su 11 milioni) e sono allarmatissimi. Il rischio è un’aumento incontrollato della produzione in tutta Europa (Coldiretti stima il 6%) e di conseguenza un’invasione in Italia di latte straniero (che è già tanto, il 40%), sempre più conveniente per le grandi multinazionali casearie, per la produzione di tutto ciò che non prevede l’obbligo di origine.

Non è che finora in Lombardia fosse andata bene: dal 2003 al 2013 si sono perse 2.719 aziende da latte (-31%). Ma ora si profila una catastrofe. «Senza quote latte la produzione estera aumenterà di tanto - spiega Ettore Prandini di Coldiretti Lombardia -. Non farà lo stesso quella italiana, perché noi abbiamo sempre puntato più sulla qualità che sulla quantità». Ogni giorno in Lombardia si eseguono 20mila controlli, che garantiscono sicurezza ma anche costi. E se fino a ieri l’odiato sistema di contingentamento permetteva quanto meno di tenere ‘su’ la quotazione del latte, soprattutto quella del Nord Europa, consentendo alle stalle italiane di sopravvivere, da oggi il «liberi tutti» mette i produttori italiani in una posizione di partenza perdente. «Negli altri paesi i costi di produzione sono più bassi perché pagano fino al 35% in meno l’energia, fino al 50% la burocrazia, fino a un terzo la manodopera», prosegue il presidente Coldiretti. Come si poteva evitare? «Con un accompagnamento all’uscita, ampliando mano a mano le quote. E con una rigorosa indicazione della provenienza. Così sarà il consumatore a decidere se vuole un formaggio che pare italiano ma è fatto con latte straniero». 

Su questo il governo ha messo a punto un piano nazionale del latte che prevede il contrasto alle pratiche di mercato sleali insieme all’Antitrust e la nascita del logo ‘Latte 100% italiano’, che sarà facoltativo ma è già un passo avanti. Intanto però gli allevatori lombardi tremano: «Le abbiamo odiate, ma con la fine delle quote latte la mia azienda perderà 25mila euro al mese - racconta Franco Rinaldi, della Gallinazza di Lodivecchio, 550 vacche -. L’unica salvezza sarebbe aumentare ad almeno il 70% la quota del latte che finisce nella produzione di formaggi Dop, al momento per i produttori della cooperativa di cui faccio parte è il 40% e non basta. Certo, avremmo dovuto essere più uniti vent’anni fa, avere caseifici consortili cui destinare gran parte del latte senza dipendere dalle industrie casearie verso cui il nostro potere d’acquisto è inesistente. Prima di me mio padre e mio nonno producevano latte: non mi arrendo ma è dura».