Giuseppe Zeno: "Il Sorpasso senza Gassman? Si può fare"

In scena Luca Di Giovanni e Giuseppe Zeno, sempre in bilico fra teatro e tv

Giuseppe Zeno

Giuseppe Zeno

Milano, 4 maggio 2017 - «A Robe’, che te frega delle tristezze. Lo sai qual è l’età più bella? È quella che uno c’ha giorno per giorno. Fino a quando schiatta... si capisce». Pensiero e parole di Bruno Cortona. Su e giù per l’Aurelia in compagnia del povero Roberto, appena conosciuto. Che non se ne parla di passare il Ferragosto da soli a Roma… Indimenticabile “Il sorpsasso” di Dino Risi, con Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant (oltre a una giovanissima Catherine Spaak). Possibile anche solo immaginare una trasposizione teatrale? Bella sfida. Che da stasera arriva al Manzoni con la regia di Guglielmo Ferro. A firmare l’adattamento Micaela Miano. In scena Luca Di Giovanni e il bel Giuseppe Zeno, sempre in bilico fra teatro e tv.

Zeno, Bruno è uno di quei personaggi che fan tremare le ginocchia.

«Guardi, non più di Zio Vanja, Amleto o qualsiasi altro classico. È una figura grottesca, straordinaria, figlia delle maschere della Commedia dell’Arte. Ho cercato di non focalizzarmi sulla grande prestazione di Gassman, il paragone non mi avrebbe lasciato alcuna possibilità».

Però è un personaggio letteralmente costruito su Gassman.

«Sì, alcune battute furono perfino improvvisate sulla sua vocalità, sulla sua gestualità. Quindi effettivamente da una parte è difficile discostarsene, dall’altra lo reinterpreti attraverso un altro linguaggio, dove devi rendere tutto in uno spazio di dieci metri per otto».

Più complicato?

«Diverso. Fai leva sulla drammaturgia, meno sulle suggestioni. E così riesci ad approfondire i personaggi, i conflitti. Come quelli di Bruno con la moglie, la figlia, sé stesso».

Che rapporto ha con il teatro?

«Non l’ho mai abbandonato, fin dagli esordi. Ogni tanto devo metterlo in pausa, ma avrò fatto fino a oggi una ventina di spettacoli. Sento una responsabilità nello spendere la mia visibilità a teatro, soprattutto in questi tempi di crisi. Il teatro poi ti restituisce dignità e visione».

In che senso?

«Le fiction non sono e non vengono più percepite come gli sceneggiati di un tempo, dov’erano protagonisti i grandi attori. Ora sembrano tutte forme di intrattenimento. C’è gente che mi chiede perché non vado all’Isola dei Famosi, è facile fraintendere».

Perché secondo lei?

«La concorrenza incalza, sono cambiati i ritmi produttivi, si cercano velocità e basso costo, c’è il personaggio prima dell’attore, che peraltro paga l’ossessione della popolarità, l’ossessione del riscontro alimentato da internet. Un fenomeno che mi fa paura. Diciamo che non ti puoi più permettere di lavorare a “L’idiota” con Albertazzi e Volonté…».

La bellezza è un ostacolo in questi casi?

«Non ho i canoni classici. Ma comunque la bellezza rimane un’opportunità per crescere, studiare, migliorare. Anche se credo sia più una questione legata al carisma, all’energia. Alla verità soprattutto».

Come si trova in tv?

«Bene, alla fine si tratta sempre di una macchina da presa. Certo, cambia la chiave di lavoro fra “azione” e “stop”. Io ci metto sempre tutto. Anche se devo ammettere che i ritmi serrati ti costringono a lasciare qualcosa sul campo».

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