Amarcord della colonia di Selvino: tornano i bimbi salvati dalla Shoah

Erano 800 i piccoli ebrei accolti: ora si ritrovano in 60 con figli e nipoti. Un esempio di accoglienza, primordiale modello 'Milano' di Stefania Consenti

LA FELICITÀ Un paio di scarpe nuove per il bimbo a destra  e il ringraziamento  è il suo bellissimo  e grato sorriso; qui accanto la tavolata dei bambini salvati dai campi di concentramento; sotto,  il dormitorio. In alto a destra  lo stato di degrado della struttura oggi

LA FELICITÀ Un paio di scarpe nuove per il bimbo a destra e il ringraziamento è il suo bellissimo e grato sorriso; qui accanto la tavolata dei bambini salvati dai campi di concentramento; sotto, il dormitorio. In alto a destra lo stato di degrado della struttura oggi

Milano, 6 settembre 2015 - Non vedono l’ora di salire su quell’aereo che li riporterà indietro nel tempo, in quella che è stata, dal ’45 al ’48, la casa dello loro infanzia. E che importa se si deve attraversare l’Oceano? Sidney Zoltak, per una vita assicuratore a Montreal, 84 anni, un ebreo polacco scampato ai campi di concentramento, uno degli 800 Bambini di Selvino, ri-nato grazie alle cure e all’amore ricevuto in quella ex colonia per i figli dell’élite fascista milanese, «Sciesopoli», oggi un edificio segnato dal tempo e dall’incuria, giura di potercela fare. Di non temere la stanchezza della lunga traversata. Figura carismatica, Sidney, abituato ad accompagnare studenti di tutto il mondo in visita al campo di Treblinka. Ma non scommette sugli occhi asciutti, i suoi e quelli degli altri 60 ospiti, di quei bimbi, che furono profughi aiutati da una rete di solidarietà internazionale nella quale si adoperarono anche i nostri partigiani, oggi nonni e bisnonni negli States, in Israele, Canada, Gran Bretagna, che potranno riabbracciarsi, stringersi le mani, fare memoria. E ringraziare.

Come Avi Shilo, che partecipò alla rivolta nel ghetto di Lutsk. Un tempo, a Sciesopoli, era il «ribelle», poi è diventato attore e insegnante di arte drammatica. «Chi viene accolto non dimentica», fa notare Marco Cavallarin, del Comitato promotore “Perché duri la memoria”, insieme a Miriam Bisk, americana, figlia di sopravvissuti alla Shoah a Lodz, in Polonia, poi divenuti educatori proprio a Sciesopoli. Nel suo recente viaggio di ricerca delle origini, in una lettera indirizzata a Papa Francesco Miriam scrive: «Preservare la memoria di Sciesopoli, per onorare i cittadini di Selvino, per raccontare la storia dei bambini ebrei sopravvissuti che in questo luogo sacro hanno conquistato la loro infanzia rubata, una “nuova famiglia” e soprattutto la speranza». E la solidarietà di Papa Francesco non ha tardato ad arrivare.

Tutto è pronto a Selvino per questo incontro internazionale, con l’Albero della Vita che si illuminerà dando il benvenuto a questi «figli della Shoah» e la grande cena di «shabbat». Sciesopoli è uno dei molti luoghi trascurati dalla storia e dalla memoria. Ma qui si realizzò quel «miracolo» di accoglienza dei profughi, un primordiale «modello Milano» che restituì il sorriso a quegli 800 bimbi scampati ad Auschwitz e Dachau e alle interminabili marce della morte. Il più alto numero di «salvati» al mondo.

Passaggio obbligato, a Milano, Palazzo Odescalchi, in via Unione 5, dove c’era la sede della Comunità ebraica che si occupava della prima accoglienza e di smistare i profughi (ne sono passati più di 250 mila per l’Italia in due anni) in attesa di raggiungere la Palestina, «la terra promessa», talvolta anche clandestinamente. Ma cresce il numero di bambini orfani. E una delegazione composta da Raffaele Cantoni (presidente della Comunità ebraica di Milano), Moshe Zeiri (dei Genieri dell’Esercito Britannico) e Teddy Beeri ottiene dal sindaco di Milano, Antonio Greppi, in accordo con il Cnl e il prefetto Riccardo Lombardi, la colonia «Sciesopoli». Siamo nel settembre del 1945. Prende corpo un’esperienza educativa nuova, i ragazzi vengono accolti uno ad uno, sulla porta, accompagnati nei dormitori, coccolati, istruiti, educati. Un’esperienza unica al mondo per metodi educativi e per l’ingente quantità di bimbi. Imparano la «lingua dei padri», l’ebraico, si fortificano nel corpo e nello spirito. «A Sciesopoli si iniziano con regolarità gli studi di lingua, letteratura, aritmetica, storia del popolo ebraico, la geografia della Palestina. Tutti animati da un profondo desiderio di ricostruire l’identità personale e del proprio popolo». Perfino la musica si studia ad alti livelli grazie alla disponibilità di Gary Bertini, che diventerà musicista e direttore d’orchestra di fama internazionale.

«Una incredibile rete di accoglienza e solidarietà internazionale, quel senso di umanità che l’Europa ha smarrito con i profughi di oggi, contribuì ad aiutare quei bambini», ricorda ancora Cavallarin. «Perfino il panettiere di Selvino si preoccupava di panificare in più, e gratuitamente, e il barbiere non saltava gli appuntamenti per sistemare la zazzera ai piccoli della colonia». Oggi la struttura versa in un degrado assoluto. Fino al 1990 il Comune di Milano ne era il proprietario. Poi è finita all’asta, acquistata da un gruppo immobiliare che voleva farne probabilmente un albergo di lusso. La vecchia colonia è un capolavoro dell’architettura razionalista, a firma dell’archietto Vietti-Violi, lo stesso che ha firmato il galoppatoio di San Siro e il Palazzo dello Sport di piazza VI febbraio. Andrebbe recuperata. Si attendevano i fondi della Regione Regione Lombardia ma al momento ci sono solo promesse. Al degrado della struttura si contrappone il recupero della memoria, partito con una petizione internazionale sostenuta da oltre ventimila firme. Prima nemmeno nelle scuole di Selvino si parlava più di quei concittadini generosi che nel dopoguerra si sono fatti in quattro per aiutare i profughi-bambini. E strappare loro un sorriso. Quel sorriso che, oggi, diventa una maschera di dolore, quando agghiacciati guardiamo la foto del piccolo Aylan, annegato nel mare di Bodrum, alla ricerca di un approdo. In una sua «terra promessa».

di Stefania Consenti

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