GIULIA BONEZZI
Economia

Informatica, economia e lingue: le carte per trovare lavoro a Milano

Il mercato visto da LinkedIn, che vanta 829mila curriculum in città

Il logo LinkedIn a Wall Street

Il logo LinkedIn a Wall Street

Milano, 23 giugno 2016 - Persino in un Paese con tasso di disoccupazione giovanile pericolosamente vicino al 40%, tra candidati e aziende che cercano non è facile incontrarsi. Anche in una grande città come Milano: questo è emerso, più che dai dati dalla discussione, ieri al 19esimo piano della Torre Garibaldi B dove ha sede LinkedIn. Il social network professionale con 433 milioni d’iscritti nel mondo (solo 120 nei natii Usa), e ambizioni egemoni: "Vogliamo arrivare a 3,3 miliardi", cioè mettere in rete tutti i lavoratori del globo, scandisce Marcello Albergoni, capo del ramo italiano che in cinque anni ha raggiunto i 9 milioni d’iscritti. Sono circa 829 mila tra Milano e hinterland, e 96 mila le aziende: da questi "big data" la società scatta la sua fotografia del mercato, interrogando una forza lavoro che ha il 15% in più di cv "tecnologici", il 30% in più di "finanziari" e quasi il 60% in più di addetti a media e comunicazione rispetto alla media, e che si distingue per competenze in lingue straniere, moda e avvocatesche.

Le nuove posizioni aggiunte sui profili milanesi negli ultimi 12 mesi sono 49 mila, e tra chi l’ha fatto quasi uno su tre ha "skills" economiche e in social media marketing, uno su quattro ascrivibili ad "affari pubblici e relazioni internazionali". I settori in cui le aziende cercano di più sono servizi professionali e tecnologia. Milano attira "talenti" da tutta Italia (in testa Roma, Napoli e Torino), nell’ultimo anno soprattutto nei rami ristorazione e catering (cresciuto del 6% con l’Expo), pubblica amministrazione/relazioni internazionali e programmazione (informatica). E ne perde, in progettazione (urbanistica), trivellazione, marketing e assistenza clienti: vanno a Londra, in Svizzera, Germania ed Emirati, a cercare stipendi migliori e non solo. Grazia Fimiani di Eni, Roberto Biazzi di Fastweb e Ivan Tardivo di Unicredit su questo sono concordi: le rispettive "big" non guardano solo titoli ed esperienze, ma anche le aspirazioni dei candidati, in cui cercano un "fit culturale" ai propri valori e modelli organizzativi. E per intercettare le persone giuste lanciano ami, dal welfare aziendale a linguaggi di reclutamento adatti ai giovani, oltre a lavorare con le università, che anticipano il "placement" sempre di più, quasi "al momento dell’iscrizione" alla Cattolica, sostiene la prorettore Antonella Sciarrone Alibrandi.

Secondo Loredana Garlati, della Bicocca che certifica le "competenze trasversali" dei suoi studenti per attrezzarli a un mondo esigentissimo in cui persino ai nativi digitali è richiesta la “patente”, più che inseguire i capricci del mercato con la laurea “giusta” conta "sviluppare i propri talenti". In senso biblico perché, ricorda il prorettore della Statale Nicola Pasini, "dobbiamo trovare lavoro anche al 95% composto non da talentuosi ma da persone normali". E agli 83 mila Neet (che non studiano non lavorano non si formano) arruolati alla Garanzia Giovani in Lombardia, ricorda Giuseppe Di Raimondo Metallo illustrando l’articolato sistema di formazione della Regione, basato su "percorsi personalizzati" gestiti da operatori pubblici e privati «remunerati a risultato». Un lavoro da istituzioni pubbliche. Ma, si apprende da LinkedIn, la Regione è anche la quarta azienda che assume più iscritti a Milano.

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