Lo stupratore seriale prova a salvarsi: "Ero convinto di essere guarito"

Milano, Edgar Bianchi confessa: "La ragazzina? Ero a passeggio e l’ho vista..."

Edgar Bianchi a processo a Genova nel 2007

Edgar Bianchi a processo a Genova nel 2007

Milano, 30 settembre 2017 - Un raptus improvviso. Cinque minuti fuori controllo. «Pensavo di esserne uscito, di essere guarito, avevo una vita normale e una fidanzata, volevo sposarmi, ma ci sono ricaduto e voglio essere curato». Parole di Edgar Bianchi, il barman di 39 anni fermato giovedì pomeriggio dagli agenti della Squadra mobile con l’accusa di aver abusato di una 13enne in uno stabile in zona Fiera a Milano.

Un’aggressione identica nelle modalità a quelle che nel 2006 portarono l’uomo in cella per 25 episodi di violenze e molestie ai danni di altrettante adolescenti nella zona di Genova, con una condanna definitiva a 12 anni (di cui 8 scontati a Chiavari). Il "maniaco dell’ascensore", così era stato ribattezzato all’epoca, ha assicurato sia al pm titolare del fascicolo Gianluca Prisco che al suo avvocato Paolo Tosoni che il raid di mercoledì è l’unico del quale si è reso protagonista dopo essere tornato in libertà nel settembre 2014, anche se gli investigatori coordinati dal dirigente Lorenzo Bucossi e dalla vice Rita Fabretti stanno comunque verificando che non ci siano altre vittime del predatore seriale. «Ero in giro nella zona dove abito, facevo una passeggiata a piedi e a un certo punto ho visto una ragazza: mi è venuta voglia di fare qualcosa», l’incipit della confessione resa davanti al magistrato dopo essersi costituito (quando ormai era braccato da 150 poliziotti). Bianchi segue la ragazza fin dentro il palazzo in cui abita e poi si infila in ascensore (non lo stesso utilizzato dalla 13enne). «Sono andato al piano, non sapevo dove abitasse, non l’avevo mai vista prima: quando sono uscito dall’ascensore, ho preso la ragazza alle spalle», continua il racconto. «Dopo che è successo il fatto, sono andato verso casa», al piano terra di uno stabile popolare nella zona di San Siro in cui il 39enne si era trasferito di recente, ospite della fidanzata. La caccia all’uomo scatta pochi minuti dopo. La descrizione dettagliata fornita dalla vittima e l’analisi delle telecamere di videosorveglianza installate in zona consentono ai poliziotti di restringere il campo: si cerca una persona con un vistosissimo tutore alla gamba sinistra. Diversi occhi elettronici ne immortalano il passaggio. Fino alla tessera Atm «strisciata» in uscita ai tornelli della fermata Segesta della metropolitana lilla: la traccia che basta agli agenti della Polmetro per associare quella faccia a un nome e un cognome, quelli riportati sull’abbonamento.

Guiovedì scatta il blitz: decine di agenti passano al setaccio il quartiere attorno a piazzale Selinunte, in cerca dell’appartamento presso il quale sembra che l’uomo si appoggiasse prima del trasloco a casa della nuova compagna. Bianchi non si trova. Lui, però, viene probabilmente a sapere che lo stanno cercando e decide di costituirsi in Procura. «Il mio assistito – fa sapere l’avvocato Tosoni – ha spiegato di aver seguito un impulso e di non essere riuscito a controllarsi in alcun modo: ho la sensazione che in questo caso siamo di fronte a una sorta di malattia». Probabile che la difesa chieda ora che il barman venga esaminato da un consulente in grado di stabilire la portata della sua patologia e di programmare un eventuale percorso di cura da affrontare nel corso della detenzione (sarebbe il secondo dopo quello già completato a Chiavari con risultati giudicati «positivi»). Oggi Bianchi sarà interrogato dal gip Maria Luisa Carnevale nel corso dell’udienza di convalida del fermo.

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