Lodi, Mondonico in cattedra al Bassi: "Il calcio mi aiuta a sfidare il cancro"

Lodi, testimone di impegno sociale. Ora allena ex tossici e alcolisti

Gli alunni in ascolto

Gli alunni in ascolto

Lodi, 17 gennaio 2018 - La pallone-terapia contro le dipendenze. È stata una lezione speciale per quasi 200 studenti delle classi quarte dell’istituto Bassi che, ieri, hanno ascoltato con grande attenzione le parole dell’ex allenatore di Atalanta, Torino, Napoli, Fiorentina, Cremonese e Albinoleffe, Emiliano Mondonico. Il Mondo, 70 anni, che da sei anni è in guerra contro il cancro, ha parlato del suo nuovo progetto che lo vede allenatore degli ex alcolisti e degli ex tossicodipendenti che, ogni giorno, lottano contro i propri fantasmi all’ospedale Santa Marta di Rivolta d’Adda.

"Non si riesce a esprimere la soddisfazione che provo a seguire questi ragazzi – ha detto l’ex allenatore cremonese, originario proprio di Rivolta d’Adda –. Ho messo a disposizione tutta la mia esperienza. Insegno le regole e a rispettarle, ma soprattutto a fare gruppo: non è fondamentale solo fare gol. Superare la solitudine e avere rispetto per sé, i compagni e gli avversari». Il coraggio di Emiliano Mondonico è straordinario. Per chi lo ascolta suscita ammirazione, rispetto, stima. "Il cancro non è invincibile, il calcio mi dà la forza per continuare a sfidarlo", ha detto il Mondo agli studenti che ieri hanno partecipato all’incontro in aula magna. Per lui, però, non è un modo di dire. Il progetto della squadra di calcio a 5 è nato qualche anno fa, quando Mondonico ha incontrato il direttore del reparto di riabilitazione dipendenze dell’ospedale di Rivolta d’Adda, Giorgio Cerizza. Si tratta di una formazione strana, perché i giocatori cambiano, al centro ci si sta uno o due mesi. Le sedute di allenamento, due volte alla settimana, si svolgono al campo dell’oratorio. Giovani che cercano di uscire da ogni tipo di dipendenza: alcol, droga, gioco o sesso. Fondamentale è il lavoro in équipe. Con il mister che usa gli stessi metodi e parole di quando allenava Fiorentina, Torino, Napoli, Atalanta.

"Donne e uomini giocano insieme perché la squadra riproduce la società – ha spiegato Giorgio Cerizza, il direttore del reparto di riabilitazione dipendenze –. Fare gol è una metafora della meta da raggiungere, ci sono regole da rispettare e la squadra avversaria non è un nemico: rappresenta le difficoltà da superare". Tra gli ospiti, ieri al Bassi, due protagonisti di questa avventura. Marco, 29 anni, che viveva per la cocaina. E ci sommava l’alcol. Era barista, ora fa l’operaio. Ha festeggiato i tre anni di astinenza. "Ho sempre saputo di saper giocare a pallone – ha detto Marco, che ha assicurato di non drogarsi da oltre 1.200 giorni –. Dopo un po’, Mondo mi prende parte: ehi, non ci sei solo tu. Giocare con lui mi ha fatto capire chi fossi. Sul campo, come nella vita, esistevo solo io. Ma non è così". Poi, è toccato a Kevin, 29 anni, che ha iniziato il suo percorso da 300 giorni, raccontare la sua storia. Anche lui ogni martedì e mercoledì indossa scarpette chiodate. "Il mister ci fa conoscere ancora meglio. Non è facile uscire da una dipendenza, ma lo sport è sicuramente uno strumento utile: non si può superare questo grosso ostacoli da soli", ha detto Kevin.