Kayak e roccia in Groenlandia: impresa sul Dente di squalo

Questa volta l’idea di Matteo della Bordella sembrava davvero ardita, ma ancora una volta il Ragno di Lecco e i suoi due amici svizzeri Silvan Schupbach e Christian Ledergeber hanno stupito tutti. È bastato un breve messaggio inviato con il satellitare dal freddo Nord per scatenare la gioia ai piedi della Grignetta: «Siamo arrivati in cima allo Shark’s Tooth» di Federico Magni

Matteo  della Bordella

Matteo della Bordella

Lecco, 22 agosto 2014 - Questa volta l’idea di Matteo della Bordella sembrava davvero ardita, ma ancora una volta il Ragno di Lecco e i suoi due amici svizzeri Silvan Schupbach e Christian Ledergeber hanno stupito tutti. È bastato un breve messaggio inviato con il satellitare dal freddo Nord per scatenare la gioia ai piedi della Grignetta: «Siamo arrivati in cima allo Shark’s Tooth». I tre sono riusciti a scalare l’immensa parete praticamente sconosciuta della Groenlandia aprendo una nuova via scalando in arrampicata libera, a vista, su alte difficoltà. Le incognite erano moltissime e anche Della Bordella non aveva nascosto qualche preoccupazione alla vigilia della partenza. Conoscevano la parete solo da una vecchia fotografia, che fra le altre cose, si vedeva anche da molto lontano. Per raggiungerla però i tre fortissimi scalatori hanno percorso più di duecento chilometri a bordo dei kayak, portando con loro tutto il materiale necessario alla scalata, compresi i viveri per circa 40 giorni. Un’impresa nell’impresa, visto che nessuno ci aveva nemmeno mai provato in quella zona della Groenlandia dove le incognite sono tantissime: prima di tutto il ghiaccio che poteva sbarrare il percorso e rendere molto pericolosa la navigazione e non ultima anche la presenza dell’orso polare.

Non a caso la nuova via di 900 metri di lunghezza è stata chiamata «The great shark hunt», a ricordo del lungo viaggio occorso per arrivare in cima. «Abbiamo aperto una nuova via al centro della parete Nord Est - racconta Matteo in messaggio - Abbiamo scalato per tre giorni, scalando in arrampicata libera, a vista, su difficoltà sempre sostenute e continue. La via nuova segue un sistema di fessure al centro della parete, con qualche traverso che congiunge le varie fessure. La lunghezza della via nuova è di 900 metri, e la roccia non sempre era della migliore qualità: le lunghezze chiave hanno costretto a dei run-outs (tratti improteggibili, ndr) su lame instabili e protezioni al di sotto non buone. Comunque siamo riusciti a non usare spit nonostante lo stile, free climbing a vista, soltanto uno per uno dei bivacchi, per fissare la portaledge (postazioni per bivaccare in parete), e un altro per una piccola doppia. Il quarto giorno siamo scesi dalla via dei russi, per cresta e spigolo, così in sostanza la parete è rimasta pulita come prima del nostro passaggio».

federico.magni@ilgiorno.net