Annovazzi e il suo Gasherbrum II: "La gioia e la lunga attesa"

L'alpinista appena rientrato dal Pakistan racconta la sua odissea: dopo aver scalato la cima di 8.035 metri è rimasto bloccato per tre giorni a settemila metri.

Valerio Annovazzi a 8.035 metri sulla vetta del GII

Valerio Annovazzi a 8.035 metri sulla vetta del GII

Primaluna (Lecco), 10 agosto 2017 -  “Sentivo che le forze piano piano se ne stavano andando ma non ho mai perso lucidità. Sono rimasto bloccato tre giorni a settemila metri e speravo che prima o poi qualcuno mi sarebbe venuto incontro”. Quello che impressiona del racconto di Valerio Annovazzi, alpinista originario della bergamasca e da anni residente a Primaluna in Valsassina, appena rientrato dal Pakistan dove il 21 luglio ha scalato senza ossigeno gli 8.035 metri della vetta del Gasherbrum II, è la calma con cui descrive un’odissea dalla quale fortunatamente è uscito sano e salvo. E’ tornato da pochi giorni, i suoi occhi di un azzurro intenso è come se avessero fissato e riflettessero ancora quel mondo di ghiaccio che per tanti giorni è stata la sua casa. 

Se non fosse stato per i baschi Alberto Iñurrategi, Juan Vallejo e Mikel Zabalza che sono andati a prestargli soccorso fino a settemila metri probabilmente sarebbe andata diversamente e Annovazzi non sarebbe qui a raccontare la sua avventura. 

“Sapevo che nessun elicottero sarebbe salito fin lì e quelli che avevano fatto la vetta con me non avrebbero avuto le forze per ritornare. Non avevo la radio e il telefono satellitare era al campo base. L’unico contatto con il resto del mondo era solo visivo. Dalla mia tenda vedevo il campo base e sapevo che da laggiù qualcuno vedeva i miei movimenti con un potente teleobiettivo.  Dal primo giorno in cui sono rimasto bloccato a settemila metri ero senza gas e quindi non avevo più nulla da bere. A un certo punto ho sentito qualcuno che chiamava “Valerio”. Lì ho capito che ero salvo”

Fino al giorno della vetta era andato tutto nel migliore dei modi. Erano le 9.30 di sera del 20 luglio quando Annovazzi e altri alpinisti di diverse nazionalità avevano lasciato le tende del campo 3 illuminando il loro cammino con la luce della lampada frontale. 

“C’è un lunghissimo pendio da affrontare per arrivare verso la cima. Bisogna aggirare tutta l’ultima piramide. C’era neve farinosa e abbiamo impiegato dodici ore per arrivare sulla vetta - racconta Annovazzi che sulla montagna di ottomila metri si muoveva da solo, senza portatori, senza ossigeno e portando con sé tutti i materiali necessari per affrontare la salita. -. Anche in cima stavo bene. Non faceva così freddo. Quando siamo arrivati in vetta abbiamo fatto diverse foto e il tempo era bello”. La cima del GII è molto affilata, una cresta tagliente, sulla quale è difficile anche mantenere l’equilibrio per immortalare l’attimo con uno scatto. 

A quel punto con la gioia della vetta mi sono accorto che mi era scesa tutta la tensione e con quello anche il fisico ha mollato. Me la sono presa comoda durante la discesa e sono arrivato al campo 3 che stava già facendo buio. Sono entrato in tenda e sono crollato”. 

Il giorno successivo l’avventura sul GII ha preso una brutta piega:

“Mi sono svegliato quando c’era già la luce. Non ricordo a che ora. Tutti gli altri alpinisti erano già scesi. Il maltempo previsto per il pomeriggio era in anticipo e c’era già una bufera. La neve aveva coperto le tracce e il tratto fra campo 3 e campo 2 è molto pericoloso con un ripido pendio sul quale bisogna aggirare diversi seracchi. Ho provato a scendere ma era impossibile. Mi sono rifugiato nella tenda. Il giorno successivo ho fatto altri due o tre tentativi ma niente. Sentivo le forze che mi abbandonavano ma ero sempre presente di testa. Durante tutte quelle ore pensi un po’ a tutto, soprattutto la notte, ma riuscivo a ricacciare dentro tutte le paure. Speravo che qualcuno mi venisse a prendere. Soprattutto i tre baschi che erano impegnati nel tentativo di traversata dal GI al GII. Continuavo a guardare su verso la vetta, sperando di vederli scendere”. Annovazzi ancora non sapeva che avevano già rinunciato. Fortunatamente le nuvole ogni tanto se ne andavano e dal campo base vedevano Annovazzi che si muoveva a settemila metri. La salvezza è arrivata dal basso. I tre baschi in un balzo di dodici ore sono riusciti a raggiungerlo. “Ho bevuto tre fornelletti di acqua e sali, ci siamo legati e sono riuscito a scendere sulle mie gambe. A casa aspettavano mie notizie da qualche giorno”.