SANDRO NERI
Editoriale e Commento

I beffati della pensione

EDITORIALE

Milano, 12 febbraio 2017 - L'ingiustizia è sotto gli occhi di tutti, ma solo pochi ne parlano. Soprattutto non lo fa la politica, concentrata nell’assicurare il diritto alla pensione ai parlamentari e dimentica delle fasce più deboli. Il caso esemplare è quello dei contributi silenti, tema noto a migliaia di persone. E nato da una situazione paradossale: coloro che versano piccoli contributi all’Inps non sufficienti a garantire un assegno pensionistico vedono questi pochi risparmi persi in un limbo. Accantonati secondo il metodo contributivo - ciascuna persona in teoria versa contributi per se stessa - non vengono poi restituiti né sotto forma di assegno previdenziale, perché insufficienti, né a titolo di rimborso. L’Inps, infatti, non restituisce i contributi versati, che assumono la denominazione di “silenti”, un punto su cui spesso e volentieri si apre dibattito politico, senza soluzioni. La motivazione fondamentale a sostegno di questo regolamento è rappresentata dall’esigenza primaria di salvaguardare i conti della cassa previdenziale, che con la restituzione dei contributi dovrebbe sopportare un onere maggiore. 

Ma è evidente l’ingiustizia: l’ennesima che si somma al doloroso capitolo degli esodati (siamo a ben otto provvedimenti di salvaguardia, ma ancora in tanti aspettano la meritata pensione) e, appunto, all’interrogativo inquietante circa la reale affidabilità futura dell’impianto previdenziale del nostro Paese. Il caso classico di contributi “silenti” è quello di chi versa contributi a diverse casse e in ciascuna di queste non matura un capitale sufficiente per la quiescenza. La ricongiunzione contributiva sarebbe la soluzione, ma la legge 122/2010 ha reso onerosa questa operazione e oggi il passaggio da un ente previdenziale all’altro (classico caso, un dipendente pubblico che passa al privato) può costare decine di migliaia di euro, pur trattandosi di denari versati dal contribuente per il suo futuro. Un parziale correttivo potrebbe essere quello della legge 41/2006 che ha previsto la totalizzazione dei contributi: contrariamente alla rincongiunzione è gratuita, ma comporta il calcolo della pensione interamente con il sistema contributivo (a meno che non ci sia un diritto autonomo maturato in una delle gestioni interessate dall’operazione). E prevede che si debbano sommare tutti i contributi versati in diverse gestioni, per raggiungere pensione di vecchiaia, anzianità, inabilità, indiretta.

 La recente Legge di bilancio 2017 ha esteso il cumulo dei contributi gratuito anche alle casse dei professionisti, prima escluse, e l’ha potenziato rendendolo utilizzabile anche per raggiungere la pensione anticipata (prima era possibile utilizzare il cumulo solo per la pensione di vecchiaia). Ma al netto di questa novità la semplificazione è ben lungi dal venire in aiuto dei cittadini e sono proprio le fasce più deboli a necessitare di queste operazioni per avere garantito un minimo di sussistenza. Parliamo di un diritto sacrosanto, non di una opzione, a cui il mondo politico dovrebbe rispondere con urgenza e chiarezza. Il periodo utile a garantirsi la pensione da parlamentare potrebbe essere utilizzato anche per questo.