Da Atatürk a Erdogan: i mille volti della Turchia

Turchia, tra le sponde d’Occidente e le tentazioni d’Oriente

Milano, 19 febbraio 2017 - "Volevo fare lo scrittore. Ma, dopo i fatti che mi accingo a raccontare, sono diventato un geologo e un costruttore”. È l’inizio di “La donna dai capelli rossi” di Orhan Pamuk, Einaudi. E nella costruzione dei destini diversi dalle ambizioni e dai desideri si riflettono i dubbi e le ansie di una Turchia ancora una volta in drammatica crisi, tra le sponde d’Occidente e le tentazioni d’Oriente. Il protagonista, Cem, è un liceale timido e incerto, nella Istanbul della metà degli anni Ottanta, sotto regime militare. Il padre, farmacista, finisce in galera, per le sue amicizie politiche. E Cem nelle vacanze d’estate va a fare l’assistente muratore d’un mastro costruttore di pozzi, Mahmut, un po’ padrone un po’ padre. Lavoro duro. E sere sognanti e inquiete, con la scoperta del fascino del teatro, d’una bella attrice e del sesso. Poi, un incidente a Mahmut. La fuga. E nell’arco di pochi anni, un cambio di vita. Ma si ripresentano, le ombre, con l’ossessione dei miti di Edipo e Sohrab, la morte dei padri o dei figli. Le ansie di libertà restano comunque vive: un monito, per il controverso presente.

Va raccontata e ben documentata la Turchia contemporanea. Con gli strumenti della letteratura, alla Pamuk. E con l’intelligenza affilata dell’inchiesta giornalistica e storica, come fa bene Marta Federica Ottaviani in “Il Reis” ovvero “come Erdogan ha cambiato la Turchia”, Textus Edizioni. Si parte dagli anni Venti, dalla morte di Atatürk, il “padre” della Turchia moderna, si rilegge la stagione dei governi dopo il golpe militare del 1980, si ricostruisce la storia di Erdogan, in un clima di fragile e controversa democrazia (poco attenta comunque ai diritti umani e alle piene garanzie della libertà di stampa) e d’impetuoso sviluppo economico. E si arriva all’oggi: “Da leader a tiranno” e “la degenerazione”, sino “al ricatto all’Europa” sui migranti e alla repressione del dissenso, facendo diventare la Turchia “il paese della paura”. Un quadro in movimento. Con il rallentamento dell’economia. E la caduta delle libertà. È fosco, insomma, l’orizzonte turco. E anche un noir ne può dare un’incisiva rappresentazione. Come “Scrittore e assassino” di Ahmet Altan, Edizioni E/O. Altan è uno dei più noti giornalisti e romanzieri turchi, dissidente nei confronti del regime di Erdogan. E nelle pagine del suo ultimo libro traffici, passioni politiche e intrighi amorosi sono chiave di lettura d’un mondo ferito. “Mare in vendita”, dice un cartello che annuncia la trasformazione in inferno d’una piccola città di vacanze. C’è una guerra tra bande. Tre donne seduttive e ambigue. Un sindaco, Mustafà, che usa il potere per costruire affari e la doppiezza per confondere gli avversari. La finzione è l’arma migliore di dominio e sopravvivenza. È la forza del romanzo: essere metafora d’un Paese che attraversa una drammatica stagione di crisi. E con cui l’Europa deve fare i conti.