Omicidio di Guanzate: colpito con 50 coltellate, lasciato morire dissanguato e seppellito nel giardino

Ernesto Albanese è stato torturato con ferite inflitte con un coltello in punti mai vitali. Poi lasciato morire lentamente mentra una sentinella lo osservava di notte, per impedire che si allontanasse. Le indagini della Mobile di Paola Pioppi

La fossa del cantiere a Guanzate dove è stato trovato il corpo di Ernesto Albanese nel riquadro

La fossa del cantiere a Guanzate dove è stato trovato il corpo di Ernesto Albanese nel riquadro

Guanzate, 26 ottobre 2014 - Portato in un bosco, colpito da decine di coltellate mai letali, e lasciato morire dissanguato. Le ultime ore di vita di Ernesto Albanese, la notte dell’8 giugno scorso, sono state un’agonia interminabile. Per la sua fine, si sarebbero riuniti almeno in cinque: il trentatreenne di Fino Mornasco, fu aggredito, colpito fino a stordirlo, caricato in auto, poi portato in un bosco a Guanzate.

Abbastanza lontano da fare in modo che le sue grida non fossero sentite da nessuno. La ricostruzione del suo omicidio, fatta negli ultimi mesi dalla Squadra Mobile di Como, parte dal suo sequestro: sarebbero andati a prenderlo a casa, prima obbligato a salire sull’auto, e poi trasferito nel baule.

Qui gli sarebbero state assestate le prime coltellate, alle gambe, mentre veniva fatto uscire e condotto nel bosco. I motivi che lo hanno portato a guadagnarsi un tale accanimento starebbero nel suo atteggiamento sopra le righe, sempre più evidente negli ultimi giorni. Ernesto Albanese aveva esagerato. Insultava, minacciava, aveva alzava troppo la testa.

Lo aveva fatto pubblicamente, anche su Facebook, con espressioni offensive e ripetute. Di sfida, persino. «Non mi fai paura», era stata una delle ultime frasi lasciate sulla bacheca quella sera, prima di uscire di casa. Non ci sono mai nomi, non si capisce a chi si riferisca, ma questa traccia lasciata su un social forum, è uno dei segni visibili di una condotta ben più ampia che era diventata intollerabile.

Una volta arrivati nella boscaglia, gli si sarebbero fatti attorno almeno in quattro, e un paio avrebbero iniziato ad assestargli coltellate. Ripetute, alle gambe, all’addome e alla schiena, mai in punti vitali. Una cinquantina. Lo hanno lasciato così, di notte nel bosco, con una sentinella a controllare che non si allontanasse, finché ha smesso di lamentarsi, e di respirare. Il primo tentativo di seppellirlo è stato proprio lì, a pochi metri da quella pozza abbondante di sangue rimasta sul terreno per giorni, finché la pioggia non se l’è portata via. Ma quella notte il terreno era troppo arido per poter essere scavato. Meglio il secondo tentativo: è stato scelto il giardino di una casa disabitata, rimediato un escavatore, scavato una fossa di due metri di profondità.

Il corpo è stato spogliato, gli abiti bruciati ad eccezione di un orologio rimasto legato al suo polso. Lo hanno coperto di calce e poi di terra, ripianato il terreno. Ventiquattro ore dopo essere uscito di casa, Ernesto Albanese era definitivamente sparito. Il giorno dopo, nessuno ha notato nulla di strano nella terra smossa di quel giardino cantiere. Il buco era stato richiuso alla perfezione, così bene da poterci fare sopra una grigliata poche ore dopo. I cui invitati, alcuni forse inconsapevolmente, hanno aiutato a compattare ancora meglio il terreno.