Omicidio Puppo: «Pianificato, portato a termine con lucidità, cinismo e pervicacia»

Già da tempo Fabio Bertola aveva maturato il proposito di troncare la vita di Roberto Puppo e aveva preso una decisione preventiva, caratterizzata da pianificazione e irreversibilità di Michele Andreucci

Fabio Bertola all’uscita dal tribunale

Fabio Bertola all’uscita dal tribunale

Bergamo, 28 giugno 2015 - «Già da tempo Fabio Bertola aveva maturato il proposito di troncare la vita di Roberto Puppo e aveva preso una decisione preventiva, caratterizzata da pianificazione e irreversibilità. Anche la condotta tenuta dall’imputato successivamente dal fatto, ovvero il suo insistente interessamento alla riscossione delle polizze, rappresenta riscontro che colora di sè il proposito criminoso insorto ab origine e portato a compimento con lucidità, cinismo e pervicacia».

E’ uno dei passaggi salienti delle motivazioni della sentenza di condanna nei confronti di Fabio Bertola, 47 anni, architetto di Verdellino, che il 6 marzo scorso si è visto affibbiare l’ergastolo con l’accusa di essere stato il mandante dell’omicidio di Roberto Puppo, di Osio Sotto, ucciso a 41 anni da un sicario in Brasile nel novembre del 2010. Il movente del delitto: riscuotere le cinque polizze “puro rischio morte” aperte sulla vita della vittima (con beneficiari la moglie di Bertola e due amici dell’architetto, solo dei prestanome secondo l’accusa) e recuperare i 225mila euro messi nell’affare del bar Hemingway di Bergamo. Bertola avrebbe sfruttato l’ingenuità di Puppo, partito per il Brasile “con la speranza di avviare un’attività lavorativa e tornato in una bar”, come aveva stigmatizzato il pm Carmen Pugliese nella sua requisitoria in aula.

«Nel caso in esame - scrive nelle motivazioni il giudice Maria Luisa Mazzola, che faceva parte della Corte d’Assise insieme al presidente Antonella Bertoja e sei giudici popolari - correttamente è stata contestata l’aggravante dei motivi abietti, rientrando in tale nozione la condotta di Bertola, che si è determinato ad agire per meri interessi di natura venale, essendo motivo abietto non tanto il movente economico in sè, ma l’organizzazione sottesa, funzionale alla predisposizione delle polizze assicurative e alla conseguente fraudolenta riscossione, con ciò avendo l’imputato anteposto il denaro al valore dell’amicizia e della vita stessa, sicchè la cosciena sociale non può non ritenere turpe ed ignobile un tale comportamento».

Nell’inchiesta del pm Pugliese centrale era stata la figura di Vanubia Soares Da Silva, donna brasiliana che Berola conobbe nel 2003. Arrestata a fine gennaio 2010 (a indicarla fu il giovane sicario di 17 anni arrestato dalla polizia brasiliana) era stata lei a fare il nome dell’architetto di Verdellino: «Mi aveva detto di trovare qualcuno per far spaventare l’italiano». Bertola corse a denunciarla per calunnia, ma questo rappresentò il suo passo falso: l’indagine dei carabinieri di Bergamo, infatti, iniziò così e portò a sospettare dell’imputato. Emerse che nell’ottobre 2010 Bertola era stato in Brasile: seocndo l’accusa, per definire il piano per ammazzare Puppo. Aveva soggiornato con Vanubia in un albergo fornendo un nome falso: Fabio Bertolazzi. Poi, tornato in Italia, iniziarono i contatti telefonici, ricostruiti dagli investigatori. Bertola aveva dato un cellulare “dedicato” a Vanubia e utilizzava una sim di Puppo per tenere i contatti con lui in Brasile. “Puppo chiamava Puppo”, emerse dai tabulati: impossibile. Dietro - per l’accusa - c’era Bertola. Dopo l’omicidio, infine, aveva pressato gli amici Mascheretti e Masin (che sono usciti dal procedimento patteggiando una condanna per favoreggiamento), affinchè incassassero le polizze.