Omicidio Lidia Macchi: Piccolomo chiede di parlare con il pg

L'ex imbianchino, già all'ergastolo per il "delitto delle mani mozzate", vuole difendersi dall'accusa di aver ucciso anche la 21enne studentessa varesina, trafitta da 29 coltellate nel gennaio 1987.

Giuseppe Piccolomo (Newpress)

Giuseppe Piccolomo (Newpress)

Varese, 15 febbraio 2015 - Vuole dire la sua, difendendosi da un’accusa che ha sempre rigettato dopo che gli è piovuta addosso come un macigno, quando già si trovava in cella per scontare la condanna all’ergastolo riguardo il cosiddetto «delitto delle mani mozzate». Giuseppe Piccolomo, l’ex imbianchino di 64 anni indagato per l’assassinio di Lidia Macchi, la studentessa varesina il cui cadavere venne trovato il 7 gennaio 1987 nei boschi del Sass Pinì vicino a Cittiglio, trafitto da 29 coltellate, chiede di essere sentito dal sostituto procuratore generale Carmen Manfredda, titolare del fascicolo "rivitalizzato" dopo l’avocazione dell’inchiesta da Varese a Milano. Al magistrato, probabilmente, vuole spiegare per quale motivo ha sempre negato ogni coinvolgimento in quello che è il mistero irrisolto per definizione sul territorio varesino, al contrario di quanto scelse di fare nel primo incontro "vis à vis", l’interrogatorio di garanzia in cui Piccolomo optò di avvalersi della facoltà di non rispondere.

Forse - al momento si possono fare solo supposizioni, dato che un eventuale colloquio deve essere ancora fissato - vuole anche chiarire come le parole che avrebbe detto in più di un’occasione alle figlie Cinzia e Tina, che hanno sempre sostenuto di minacce in cui il padre affermava che avrebbe fatto fare loro "la fine di Lidia Macchi", altro non erano che spacconate di un genitore facilmente irritabile. E forse vuole anche chiarire di non essere mai stato all’ospedale di Cittiglio - là dove Lidia fu vista viva per l’ultima volta - in quei giorni fra la fine del 1986 e il 1987 in cui alcune donne si presentarono dalle forze dell’ordine per denunciare l’aggressione di un molestatore dal look molto simile a quello di Piccolomo all’epoca. Qualsiasi cosa Piccolomo - che sarà assistito dall’avvocato milanese Omar Pagnozzi - vorrà sostenere davanti al suo accusatore, pare scontato che la sua linea non muterà di molto rispetto a quella espressa anche in televisione, intervistato alla trasmissione "Quarto Grado". Con il delitto di Lidia Macchi lui, parole sue, non c’entra nulla. Ma quali sono gli elementi che il sostituto Carmen Manfredda individua come indizi a carico del cosiddetto "killer delle mani mozzate"?

Innanzitutto proprio le dichiarazioni delle due figlie, che anche in sede processuale, durante il dibattimento che vide il padre imputato per l’assassinio dell’ex tipografa Carla Molinari, affermarono di averlo sentito in diverse occasioni dire che avrebbe ucciso entrambe come la studentessa morta a soli 21 anni. Da quelle frasi è scaturita la scintilla che ha portato il sostituto pg ad avocare a sé il fascicolo dell’inchiesta. In questi mesi d’indagine si sono aggiunti il dettaglio dell’identikit del "molestatore del parcheggio" molto somigliante a Piccolomo e il fatto che la famiglia dell’ex imbianchino nel 1987 aveva una casa a soli 800 metri dal luogo dove, il 7 gennaio del 1987, fu trovato il corpo della giovane uccisa. Un aiuto - in un senso o nell’altro - potrebbe arrivare dalla scienza: è appena stato conferito l’incarico di analizzare i reperti residui (peli e altri resti organici, ma anche due lettere legate al caso e il bavaglino del fratello ritrovato nell’auto di Lidia) al professor Carlo Previderè, lo stesso biologo che ha dato un volto al presunto killer di Yara Gambirasio. Su quel materiale dovrà cercare di trovare tracce del dna di Pippo.