
Al processo il grido di dolore di mamma Annamaria Trentarossi, 84 anni
"Non la perdonerò mai, è un mostro. È mostruoso quello che hanno fatto". Una voce spezzata dalla sofferenza quella di Annamaria Trentarossi, 84 anni, che ha lanciato un grido di dolore che ha squarciato l’aula della Corte d’Assise del Tribunale di Busto Arsizio. La donna è la madre di Fabio Ravasio ed è stata sentita ieri mattina come testimone nel processo che vede imputata per omicidio Adilma Pereira Carneiro, 49 anni, compagna brasiliana della vittima, e altri sette coimputati. Al presidente della Corte Giuseppe Fazio ha chiesto poi giustizia con parole cariche di disperazione: "Mi rivolgo a lei, presidente, fate giustizia. Io mio figlio non ce l’ho più, ma glielo devo. Mi hanno azzerato la famiglia. Il mio è un dolore atroce".
Un dolore che ha colpito anche il marito di Annamaria: "Sta molto male, ha un gravissimo scompenso cardiaco e quattro bypass. I medici ci hanno sconsigliato di farlo testimoniare o anche solo assistere alle udienze: la sua condizione è troppo grave". Annamaria ha ripercorso la vicenda, da quanto Adilma entrò nelle loro vite al movente del delitto, rispondendo punto per punto alle domande del pm Ciro Caramore e degli avvocati. "Lo ha ucciso per i soldi. Ci ha turlupinato, ha giocato con i nostri sentimenti per i bambini". I bambini sono i due gemelli che la famiglia Ravasio ha cresciuto nella convinzione che fossero figli di Fabio. Ma un test del Dna ha poi rivelato l’incredibile verità: non erano figli di Ravasio, e Adilma Pereira si era sposata qualche mese prima con un altro, Marcello Trifone.
"Nonostante tutto, Fabio non voleva rinunciare ai bambini. E anche noi li abbiamo sempre amati". Quell’amore sarebbe stato usato dalla mantide per ottenere altro denaro: "È riuscita a farsi prestare da noi 800mila euro che, nonostante mille promesse, non ci ha mai restituito". I bambini erano usati come arma: "Minacciava di non farceli più vedere, spariva per settimane, non rispondeva al telefono". Quando nacquero, disse di aver dato loro il proprio cognome ma in realtà tentava già allora di costruire una falsa verità. "Fabio era pronto a riconoscerli comunque – ha continuato la madre – Lei ci mostrò un certificato brasiliano ma non esisteva alcun atto ufficiale". Pereira, ignara del test del Dna, avrebbe anche tentato di far passare i bambini per figli legittimi dell’uomo, falsificando certificati e cambiando la loro residenza proprio nel giorno della morte di Fabio. Sul tavolo dell’accusa la polizza assicurativa di Fabio da 600mila euro, che sarebbe andata ai legittimi eredi in caso di morte. I bambini riconosciuti come figli avrebbero avuto l’intera somma.