Processo Lidia Macchi, Stefano Binda e il ragionevole dubbio

Parola alla difesa dell'imputato: "Niente prove, assolvetelo. Non spezzate un'altra vita"

Stefano Binda in aula (Newpress)

Stefano Binda in aula (Newpress)

Varese, 21 aprile 2018 - «Due vite spezzate. Una lo è irrimediabilmente. L’altra ha ancora qualche possibilità di recupero». La vita di Lidia Macchi, lacerata con 29 coltellate la sera del 5 gennaio 1987, sulla collina del Sass Pinin, a Cittiglio. La vita di Stefano Binda, accusato di essere il suo assassino. In Corte d’assise a Varese è il giorno della difesa. È toccante l’avvio dell’avvocato Patrizia Esposito, preludio di un’arringa stringente, tanti cunei scagliati contro le mura del castello accusatorio. Fino alla richiesta finale: assoluzione piena. «Condannare all’ergastolo un uomo perché ‘forse’, ‘magari’, senza avere raccolto nessuna prova, vorrebbe dire superare l’“oltre ogni ragionevole dubbio”, quel principio di presunzione di innocenza sancito dalla Costituzione». «La colpevolezza è stata costruita e cucita sulla persona di Stefano Binda. Questo processo è un gigante dai piedi d’argilla che ha sempre vacillato».

Un «tipico processo indiziario» e «mediatico». La difesa si attesta su tre capisaldi. Nulla prova che Binda si trovi nella zona dell’ospedale di Cittiglio quando Lidia, uscita dopo essere stata dall’amica Paola Bonari, ricoverata, incontra il suo assassino. Nulla prova che menta quando sostiene la sua presenza alla vacanza-studio di Gioventù Studentesca a Pragelato, dall’1 al 6 gennaio 1987; anzi, ci sono testimonianze che lo confermano. Manca qualunque elemento che suffraghi una conoscenza diretta, personale, per non dire un legame sentimentale, fra Lidia e Stefano.

La sera 5 gennaio 1987. Nessuno degli amici in visita alla Bonari accenna a Binda. Un testimone si affaccia a una finestra dell’ospedale, vede arrivare un’auto bianca di grossa cilindrata, che si arresta nel parcheggio. Torna ad affacciarsi più tardi e scorge la Panda di Lidia, che procede molto lentamente. «Dire – incalza l’avvocato Esposito – che l’auto bianca è la 131 di Binda è un salto logico, non supportato da alcun elemento. Allora, se Binda fosse stato possessore di un’auto blu, non sarebbe mai entrato nel processo. E poi siamo sicuri del colore bianco? L’auto non poteva essere grigia o gialla?». In quel periodo un molestatore si aggira nei paraggi. Una donna infastidita in un bar, all’uscita vede una vettura bianca, targata Varese. I numeri di targa sono diversi da quelli della vettura dell’imputato. 

Binda è a Pregelato. «I partecipanti non dicono ‘non ricordo Binda’. Dicono ‘non ricordo’. È comprensibile, a distanza di trent’anni». Tre testi confermano la partecipazione di Binda. Uno lo dichiara in istruttoria. Un altro in aula. Il terzo, dopo che gli è stata mostrata una fato della camera d’albergo, dichiara essergli tornata alla memoria una «immagine fotografica» dell’imputato nella camera. In un’agenda Binda annota il numero della stanza (212) e i nomi dei cinque ragazzi che la dividono con lui. Non lo fa per precostituirsi un alibi, è una sua abitudine nelle gite. 

La conoscenza con Lidia. «Manca una prova, anche indiziaria, del rapporto fra i due. Nessuno l’ha mai neppure ipotizzata, anche se la vita di Binda è stata scandagliata in ogni recesso. I testimoni concordano sul fatto che abbia iniziato a frequentare la Statale di Milano, nel 1987, quando Lidia era già morta». Il difensore Sergio Martelli analizza perizie e consulenze. La prosa anonima “In morte di un’amica” che la consulenza dell’accusa attribuisce alla mano di Binda: la grafologia non è una scienza esatta, fra le due scritture esistono forti differenze. Il foglietto con annotato “Stefano è un barbaro assassino”: esce da un’agenda del 1986, quando la Macchi è ancora viva, non è la grafia dell’imputato. I quattro capelli attorcigliati attorno ai peli pubici della vittima appartengono, presumibilmente, all’assassino, ma non sono di Binda. Secondo la perizia dell’anatomo patologo Cristina Cattaneo, Lidia muore tre ore, tre ore e mezzo dopo il suo primo rapporto sessuale: dov’è e con chi in quel lasso di tempo? E perché i cartoni che coprono il corpo vengono trovati asciutti nonostante la forte umidità?