Lo sconforto del Dottor Morte: "Sento che morirò in cella"

Leonardo Cazzaniga, t-shirt color carta da zucchero, pantaloni grigi, aspetto curato, è tornato in un'aula di tribunale

Leonardo Cazzaniga

Leonardo Cazzaniga

Busto Arzizio (Varese) - Leonardo Cazzaniga, t-shirt color carta da zucchero, pantaloni grigi, aspetto curato, riserva un saluto cordiale ai giornalisti in attesa nel Palazzo di giustizia di Busto Arsizio. Poi, parlando con i difensori, si abbandona a uno sconsolato "Morirò in carcere". L’ex aiuto-primario del presidio ospedaliero di Saronno lascia il carcere di Monza per la prima volta da quando, il 13 aprile, la Corte d’Assise d’appello di Milano ha ribadito la condanna all’ergastolo per dieci omicidi: quelli di otto pazienti in corsia e le morti di Massimo e Luciano Guerra, rispettivamente marito e suocero di Laura Taroni, all’epoca compagna del medico. Il deposito della motivazione della sentenza è stato prorogato a ottobre.

La vicenda approdata davanti al gip Piera Bossi è quella di Romano Venturi, imprenditore di Saronno, titolare di un’impresa di componentistica di acciaio, morto nell’ospedale saronnese, a 74 anni, il 27 dicembre del 2010. Un anno fa a giugno il procuratore di Busto Arsizio, Gian Luigi Fontana, ha chiesto l’archiviazione per una questione di orari che secondo i periti Fabrizio Bison, Luca Dutto e Bruno Barberis non collimerebbero con una responsabilità di Cazzaniga. Il gip deciderà non solo sulla morte di Venturi, ma anche su altre tredici, che la Procura ritiene da archiviare non ravvisando un nesso eziologico fra le terapie di Cazzaniga e l’esito letale.

I decessi, fra cui quello di una centenaria, si sono verificati fra il 1° luglio 2009 e il 1° gennaio 2014. Le famiglie non si sono opposte all’archiviazione. Romano Venturi trascorre con amici l’ultimo scorcio di vita. All’ora di cena il respiro si fa affannoso. L’imprenditore decide che è opportuno un controllo, visto che l’anno prima è stato operato per un tumore a un polmone. Raggiunge l’ospedale di Saronno alla guida della sua auto. È lucido. "Dite che mi tengono qua?", domanda prima che le porte scorrevoli del pronto soccorso si richiudano. Ricovero all’1.46. La cartella clinica registra alle 2.18 la somministrazione di cinque fiale di morfina. Sei minuti più tardi il respiro si fa agonico. Alle 2.38 viene praticata nella succlavia, il vaso sanguigno sottostante la clavicola, un’iniezione di 30 milligrammi di ipnovel (farmaco ipnoinducente il cui principio attivo è il sedativo midazolam). Questione di nanosecondi. Il paziente muore alle 2.38. Morfina e midazolam in eccesso. Anche a Venturi, un uomo in buone condizioni, chirurgicamente guarito dalla neoplasia, è stato applicato il “protocollo Cazzaniga“: è la tesi portata in aula dall’avvocato Giovanna Menichino, che ha chiesto di ascoltare il medico di famiglia. Gli orari sono corretti, ribattono i difensori Ennio Buffoli e Andrea Pezzangora. L’indagine strumentale, eseguita prima della somministrazione dei farmaci, ha rivelato nel ricoverato un’intossicazione da anidride carbonica legata a polmonite e patologia tumorale.