
Andrea Meneghin
Varese, 11 maggio 2019 - Vent'anni. Tanti quanti ne erano passati allora dall’ultimo scudetto che ancora odorava di epopea Ignis. Tutta un’altra epoca, come tutta un’altra epoca, in effetti, è l’11 maggio 2019 rispetto allo storico 11 maggio 1999, il giorno in cui la Varese del basket colse il decimo tricolore, quello dell’agognata stella. Capitano di quella splendida squadra era Andrea Meneghin, figlio di Dino e figlio di Masnago, splendido profeta in patria.
Meneghin, la prima immagine che viene in mente di quella sera?
«L’invasione di campo dei tifosi, la corsa negli spogliatoi per mettere al sicuro il pallone della partita, che poi mi sarebbe stato comunque “rubato” dal Toto (Bulgheroni, l’allora presidente, ndr)».
A inizio stagione non partivate da favoriti: quando avete capito che eravate da scudetto?
«La sconfitta in finale di Coppa Italia contro la Virtus Bologna ci ha dato la carica per voler andare a vincere qualcosa. Poi in semifinale, di nuovo contro la Virtus, quando abbiamo vinto due volte in casa loro, abbiamo capito che avevamo tutto per poter conquistare il titolo. Ai tempi era così, per vincere qualcosa dovevi passare da Bologna».
A maggio lo scudetto, in estate il titolo europeo con la Nazionale dove giocavate lei, Sandro De Pol e Giacomo Galanda: quanto c’era di biancorosso in quel titolo azzurro?
«Tanto. In quella squadra c’era anche Marcelo Damiao che aveva giocato a Varese in precedenza, era rimasto in gruppo fino all’ultimo Gianmarco Pozzecco. Abbiamo portato in Nazionale il nostro spirito, la voglia di giocare innanzitutto per divertirsi. Anche quell’Italia, come i nostri Roosters, era cresciuta partita dopo partita rendendosi conto strada facendo del proprio potenziale».
Torniamo a Varese: potrà tornare a lottare per il titolo o non ci sono più i presupposti, ormai?
«Nel 2013, sotto l’attenta presidenza di Cecco Vescovi, Varese vinse la regular season e perse tra mille polemiche in gara 7 contro Siena quella che era considerata da tutti la vera finale. Non sempre chi ha più soldi vince: con i giocatori giusti, un bravo allenatore e un pizzico di fortuna si può arrivare lontano. Oggi seconda in campionato è Cremona che non credo abbia un budget molto più alto di Varese».
Se non si vince, si rischia di perdere pubblico?
«A Varese non penso. Ci sono passione e competenza, fin dai tempi della grande Ignis. Il palazzetto è sempre pieno, lo era anche in A2 quando la squadra era retrocessa. Certo bisogna prendere atto che i tempi sono cambiati, il pubblico viene per vedere lo spettacolo e non perché legato a qualche giocatore: non è più tempo di bandiere».
E com’è cambiato invece Andrea Meneghin, dal 1999 al 2019?
«La pallacanestro è stata una parte fondamentale della mia vita e lo è ancora (oggi è commentatore tecnico per Eurosport, ndr). Negli anni ho poi avuto altri tipi di gioie, diventando prima marito di Cecilia e poi padre di due splendide bambine».