Djokovic: nel giorno della sconfitta più dura, il successo più grande della carriera

Il serbo, nella notte in cui non riesce a chiudere il Grande Slam, trova il riconoscimento inseguito per tutta la carriera

Novak Djokovic mostra tutte le sue emozioni dopo la finale

Novak Djokovic mostra tutte le sue emozioni dopo la finale

Spesso il tennis viene definito come “lo sport del diavolo”. Probabilmente per la sua natura intima e psicologica, che in pochi istanti può portare a ribaltare come un calzino il canovaccio di un match. E fino a ieri su una cosa si poteva essere certi: se il tennis è davvero lo sport infernale, Novak Djokovic è il re degli inferi.

Il serbo, cannibale spietato e freddo, ci ha sempre mostrato il suo lato imperturbabile (qualche sfuriata a parte), quello del “cattivo perfetto” di cui ogni film ha bisogno. Non perché abbia coscientemente scelto questa parte, ma perché è sempre stato costretto a esserlo: entrare nel cuore della gente nell’era marchiata a fuoco dal binomio Federer-Nadal era un compito complesso, se non impossibile, anche per un fenomeno come il serbo. E, infatti, ovunque si sia trovato ad affrontare Roger o Rafa (e in alcuni casi anche Andy Murray), ha sempre dovuto interpretare il ruolo del guastafeste, quello che nel bel mezzo di una serata danzereccia arriva e spegne la musica. Poi si sa, chi vince tanto (e Djokovic per diverse stagioni ha letteralmente monopolizzato il circuito) attira su di sé le antipatie del grande pubblico, soprattutto continuando a battere Roger e Rafa, beniamini incontrastati del grande pubblico.

Ieri però, nel momento di massima difficoltà nella finale contro Danil Medvedev, indietro di due set e sotto 5-1 nel terzo, Nole ha scoperto di poter essere di più dell’antagonista: infatti, il russo numero due al mondo, al servizio per diventare per la prima volta in carriera campione Slam, sente comprensibilmente il momento e, anche a causa di fischi e boati dell’indisciplinato pubblico newyorchese (che voleva assistere allo storico Grande Slam), incappa in un game da tre doppi falli, dando la possibilità a Djokovic di recuperare uno dei due break di svantaggio. Nole chiude il game e si riavvicina nel punteggio, l’Arthur Ashe esplode in un tripudio. In quell’istante, mentre guadagnava la sedia per il cambio campo, Nole alza il pugno e sorride beffardamente quasi per dire: “Adesso mi tifate?”. Una volta seduto, il campione serbo, cercato dalle telecamere che proiettano le immagini sui maxischermo dello stadio, si batte il pugno sul petto: “Ci provo, ci metto il cuore” il messaggio del corpo che scatena il boato del campo centrale degli Us Open. In quell’istante, Nole realizza di non essere più il cattivo, sentendosi amato forse come non mai su un campo da tennis. La reazione però è quella che mai ci si potrebbe aspettare da un campione di ghiaccio come lui: lacrime a dirotto. Il serbo si è anche coperto il volto con un asciugamano per provare a dissimulare le sue emozioni, ma le braccia tremanti lasciavano poco spazio all’immaginazione.

Una volta tornato in campo, Djokovic è riuscito a ritrovare la concentrazione per tenere la battuta, ma la sua partita è finita poco dopo con Medvedev che non ha fallito la seconda occasione di servire per il match. Una sconfitta fragorosa per il numero uno del mondo, forse la più dura da digerire di tutta la sua gloriosa carriera, perché a un passo dalla storia, a un passo dal sorpasso a Federe e Nadal nella classifica all time dei Major vinti (Nole, Roger e Rafa al momento rimangono appaiati a quota 20), a un passo da quel Grande Slam che l’avrebbe proiettato (ancor più) di diritto nel dibattito sul più grande di sempre. La sconfitta più pesante di sempre, però, gli ha regalato quello che i trofei e i successi non erano stati in grado di dargli: essere amato e osannato come Nadal e Federer. Djokovic non ha chiuso il Grande Slam, ma ha ottenuto il riconoscimento e l’affetto che cercava dal primo giorno nel circuito. Il destino strano e beffardo di chi dedica una vita allo sport del diavolo.