
Simone Dessi con Alessio Lorusso
Monza - La solitudine, la paura, la rinascita. Ed ora la sfida che sembrava impossibile per quel ragazzo audace che si è attaccato con tutte le sue forze allo sport per dimenticare il doloroso passato. Simone Dessi, 34enne di Vignole Borbera, è il primo pugile in carrozzina. E domani sera si esibirà all’Arena di Monza in un evento di enorme spessore e di grande sensibilità, visto che a salire sul ring (prima di Alessio Lorusso, impegnato nel titolo europeo dei “pesi gallo“) saranno gli atleti disabili. Un debutto, forse la svolta. certamente un segnale "Per me è un sogno che si avvera. Il pugilato mi ha salvato la vita - la premessa di Simone -, il mio obiettivo è far sì che le nostre esibizioni non siano fini a se stesse ma che possano diventare delle competizioni vere e proprie. Perché lo sport è di tutti e per tutti e spero che la boxe per disabili diventi sport paralimpico".
Già, parliamo proprio quella disciplina che non a caso viene definita “nobile arte“. Dove spesso capita che i protagonisti siano campioni di vita e coraggio oppure (come in questo caso) atleti veri capaci di prendere a pugni il destino e la sorte, le limitazioni e le condizioni di handicap, trasformando l’esistenza in carrozzina in una sfida piena di passione e, perché no, di competizione.
Simone è sacrificio puro, autostima, determinazione. Lo dice la sua incredibile storia. Una vita normale, sino a quando nel 2009 mentre è al lavoro nella fabbrica di serramenti, due finestre da 300 chili lo travolgono. La corsa all’ospedale e due interventi chirurgici d’urgenza evitano il peggio ma la diagnosi è spietata: lesione lombare, la vita di quel ragazzo all’epoca 21enne viaggerà sulla sedia a rotelle. "Non ci volevo credere – racconta Simone -, mi crollò addosso il mondo e andai in forte depressione. Cercai di superarla andando a vivere da solo con la mia cagnolina. E in qualche modo sono riuscito a tirarmi su".
L’altra mazzata, non meno pesante dal punto di vista psicologico, nel 2020, con l’arrivo della pandemia: "Durante il periodo infinito del Covid mi sono ritrovato completamente isolato e sono ricaduto in depressione. Non potevo continuare a pensare senza agire. Poi qualcosa è cambiato, è arrivata una specie di “folgorazione“ che di fatto è stata la mia salvezza: la boxe. Tutto è cominciato quando sui “social“ ho visto dei ragazzi che combattevano in carrozzina sul ring ed erano davvero felici. A quel punto mi sono detto: ci provo, voglio essere felice anch’io". Simone trova quindi una palestra nel suo hinterland e per non perdere tempo prezioso inizia a fare qualche esercizio anche in casa: "Mi ricordo quando ho messo un pallone in una busta, l’ho legato con una corda al soffitto e ci tiravo pugni per allenarmi".
Di fatto da allora il pugilato è diventato il suo mondo: "Non mi stancherò mai ripeterlo, mi ha salvato la vita, credetemi. Ecco perché oggi mi alleno con il mio maestro Eugenio della Dragone Boxe e ho voglia di combattere. Ho già fatto diverse esibizioni in tutta Italia e non vedo l’ora di salire sul ring di Monza per far vedere che siamo sportivi completi: mi alleno duramente tutti i giorni e voglio andare alle Paralimpiadi, sarebbe fantastico".
Insomma , la boxe come “riscatto sociale“ e ragione di vita. Perché davvero l’esistenza di Simone è cambiata. Quel ragazzo fragile e triste è diventato un uomo coraggioso e un’icona degli sportivi disabili. Da oltre un anno Dessi si è fidanzato con Anna ed è un esempio per tutti gli atleti con handicap: "In palestra siamo tutti uguali, gli altri ragazzi si allenano con me mettendosi tranquillamente in carrozzina e non è un atteggiamento pietistico ma di rispetto. Ecco, proprio questo vorrei sottolineare: la boxe insegna a non discriminare, a guardare al futuro con ottimismo e a lottare sempre duramente per raggiungere il traguardo prefissato. Quei guantoni mi hanno insegnato che nessun obiettivo è precluso se ci si crede davvero. Consiglio a tutti di andare in una palestra e provarci, anche a tante ragazze e ragazzi disabili che oggi si sentono persi: provateci, la vita vi tornerà a sorridere".
L’appello finale riassume tutta la sua storia: "Desidero davvero il pugilato per disabili possa presto diventare una competizione ufficiale. Il mio obiettivo è che tali esibizioni vengano riconosciute come veri e propri incontri di boxe, perché siamo atleti anche noi, ci alleniamo duramente e non vedo perché dovremmo essere trattati come sportivi di serie B. La Federazione Pugilistica Italiana ci sta sostenendo in maniera encomiabile, speriamo tutti che il sogno si possa avverare al più presto".