Sergio Ottolina, l'anti Berruti compie 80 anni: "Quegli scherzi a Livio"

Da Lentate a Tokyo e il Messico, festa per l’ex re dei 200 metri. L’amico-nemico velocista: aringhe sull’auto e la mania del bianco. "Mi telefonerà per gli auguri"

Sergio Ottolina

Sergio Ottolina

Lentate sul Seveso (Monza Brianza), 22 novembre 2022 - Domani compirà 80 anni, e festeggerà. "Ne avrei fatto volentieri a meno, ma mi obbligano… per me i compleanni andrebbero festeggiati solo fino a i 40 anni, quando sei libero di goderteli...". Amaro e scanzonato, guascone e ironico come sempre, l’ex re dei 200 metri piani ora è alle prese con gli acciacchi. "Mi muovo col deambulatore ormai, di sicuro a farmi gli auguri mi chiamerà anche Livio Berruti, il mio ex capitano in Nazionale, anche se pure lui oggi cammina solo con il bastone…". Sergio Eliseo Ottolina da Lentate sul Seveso ("il mio secondo nome viene da mio nonno, che costruì la casa in cui vivo tuttora") è stato uno dei grandi negli anni d’oro dell’atletica leggera in Italia. Due Olimpiadi (Tokyo ‘64 e Città del Messico ‘68, 100 metri, 200 4x100, 4x400), una da riserva ("ero un cucciolo") a Roma ‘60, un’altra sfiorata a Monaco ‘72 ("mi spaccai tallone e quattro vertebre in moto prima di partire"). Persino un’Olimpiade invernale sfiorata nel Bob a 4. Ottolina è un personaggio debordante. Storiche le sue imprese (record europeo dei 200 metri imbattuto per 9 anni, un rapporto a tratti burrascoso in Nazionale con il leggendario Berruti (oro a Roma ‘60).

Perché?

"La verità è che stava antipatico a tutti in squadra. Perfettino, “stronzetto” (ride di gusto, nd r), poi ci siamo chiariti. Siamo diventati amici".

Epici alcuni scherzi che gli giocò.

"Ero uno zuzzurellone. Un primo di aprile organizzai a sua insaputa le sue nozze, ovviamente finte, spedii partecipazioni e inviti, ci mise un mese a restituire tutti i regali (ride, ndr )".

E le aringhe?

"Lui era l’unico con la macchina, una Giulietta Sprint bianca perché aveva vinto l’oro a Roma ma con le ragazze non era molto fortunato: e così, quando venimmo a sapere che ne doveva portare una – che piaceva a tutti – a fare un giro, legammo le scatolette di aringhe allo scappamento col fil di ferro... le lascio immaginare la puzza!".

Una Giulietta… sempre bianca.

"A volte non lo sopportavo, era fissato col bianco… quando gareggiava vestiva tutto di bianco, dai calzini alle mutande, pretendeva di avere persino le scarpe immacolate… ma prima della gara le lasciò fuori dalla stanza e di notte gliele dipinsi col lucido nero militare… non voleva più gareggiare. I nostri dirigenti allora ci radunarono e ci dissero: “o salta fuori il responsabile... o non corre nessuno!”. E io, dopo qualche minuto di panico, mi feci avanti. Ma allora si alzarono tutti i miei compagni, uno dopo l’altro, sembrava una scena da film... Alla fine, nessuno fu punito e Berruti corse con le scarpe di riserva".

Perché cominciò a correre?

"Perché è la cosa più bella del mondo… e per marinare la scuola. A 15 anni mi dissero che se avessi partecipato ai Campionati Studenteschi (a proposito, perché non li fanno più?) avrei potuto saltare la scuola. E non me lo feci dire due volte…"

E iniziò subito a vincere. L’apoteosi a Tokyo… anche se in finale arrivò ultimo.

"Io preferisco dire che sono arrivato “ottimo”. Cioè, dopo il settimo posto…".

In Messico finì in una rissa.

"Al Villaggio Olimpico gli atleti di Trinidad e Tobago si erano messi a suonare e ballare, noi Italiani gli avevamo fornito un mucchio di bottiglie di Valpolicella… gli Australiani protestarono per il baccano e partì la scazzottata".

E lei?

"Ovviamente mi unii ai ragazzi di Trinidad e Tobago".

Finite le Olimpiadi, partì in moto.

"Mi ero fatto spedire la mia Laverda sull’aereo per Città del Messico. Dovevo andare con altri due compagni, moto bianca, verde e rossa, per attraversare gli Stati Uniti coi colori dell’Italia. Alla fine mi ritrovai da solo".

Perché la abbandonarono?

"Uno fu richiamato al militare, l’altro andò a sposarsi".

Cosa decise a quel punto?

"Feci 8.500 chilometri da solo, il mio ultimo scampolo di libertà in giro per gli States. Attraversai anche le riserve indiane".

Come un cowboy.

"Ma invece che a cavallo, gli Indiani mi seguivano in moto col fucile spianato".

Finì anche in Sudafrica…

"Andai a trovare il mio collega Michele Fiasconaro, atleta italo-sudafricano. Facevo il corrispondente per la Gazzetta dello Sport sotto pseudonimo: mi firmavo Otto (da Ottolina) Krumenacher, come lo starter di Zurigo. E in Sudafrica, Paese bellissimo, nacque mia figlia Greena, come verde. E si pescava benissimo".

Altra sua passione?

"Per tre anni sono anche vissuto alle Maldive, capo pesca e l’istruttore di snorkeling".

Oggi correrebbe ancora?

"È la cosa più bella del mondo, rimpiango quando a piedi nudi noi atleti attraversavamo le piste per sentire l’erba sotto i piedi. Oggi che non posso più correre, quando dal mio giardino vedo tanti uccelli, sogno di poter volare come loro".