
Rummenigge riflette sulla finale mancata del Bayern e loda l'Inter e il PSG per la loro crescita e strategia.
dall’inviato
Immaginava un 31 maggio ben diverso Karl-Heinz Rummenigge, 70 anni fra qualche mese, icona del Bayern Monaco e del calcio tedesco con un passato in maglia nerazzurra. Si sente un po’ come il padrone di casa messo alla porta, colui che (con la Uefa) organizza una festa bellissima e poi si accorge di essere solo un... ospite. "Sognavo un’altra finale in questo stadio, dopo quella persa col Chelsea nel 2012: il mio Bayern, in casa, davanti ai suoi tifosi, contro l’Inter in cui ci sono tanti amici. E invece la sfida con i nerazzurri è arrivata troppo presto e adesso la finale la guarderò da spettatore".
Potrà consolarsi rivedendo calciatori che da queste parti hanno giocato, Sommer e Pavard...
"Sì, con fortune diverse. Yann (Sommer, ndr) è stato nel 2023, ma non era in perfetta sintonia col nostro allenatore Tuchel. Ha però dimostrato con l’Inter quanto sia bravo e affidabile, un giocatore straordinario nonostante l’età. Quel che ha fatto contro il Barcellona è qualcosa di pazzesco. Discorso a parte per Benjamin (Pavard, ndr). Se il Bayern non è in finale è anche per colpa sua (sorride...). Quel colpo di testa nei quarti di finale ci ha sbarrato la porta alle semifinali. Ha qualità indiscutibili".
Stasera il pronostico sembra comunque incerto. Lei da quale parte si schiera?
"Parliamo di due squadre importanti e che sono arrivate meritatamente in fondo. Ma visto il mio passato, sarei felice se vincesse l’Inter perché ha dei grandissimi tifosi che meritano di festeggiare il trofeo dopo 15 anni di attesa. Anche se...".
Ci ha ripensato?
"La vera sorpresa della stagione per me è il PSG e forse credo che parta con i favori dei pronostici. Il dna del club è cambiato radicalmente, così come le strategie. In passato, dopo con l’arrivo della nuova proprietà, si pensava solo a grandissimi nomi; oggi invece si guarda non ai singoli, ma al bene del gruppo, quella che è arrivata in finale è una squadra più omogenea ed equilibrata. Non molto tempo fa ad Al-Khelaifi, che è un mio amico, dissi che era arrivato il momento di prendersi la rivincita dopo la delusione del 2020".
Gli diede qualche consiglio particolare anche per gli acquisti?
"No, gli feci notare solo che ci voleva pazienza. E magari rivedere la filosofia societaria, perché non si vince solo spendendo. Infatti hanno ridotto tantissimo il monte stipendi e anche calciatori con ingaggi alti e che causavano più di un problema nello spogliatoio sono andati via. Ora c’è Dembelè, è sempre stato uno dei miei preferiti fin da quando giocava nel Borussia Dortmund. E poi il PSG ha finalmente trovato l’allenatore giusto, Luis Enrique. Straordinario".
Troppi elogi ai francesi, torniamo all’Inter.
"Ho lasciato tanti amici a Milano. Sa quante richieste di biglietti ho ricevuto anche io in questi giorni? Purtroppo ho potuto accontentare pochissime persone perché i ticket sono introvabili anche qui".
Il legame con l’Inter resta qualcosa di molto bello...
"Ho trascorso tre anni meravigliosi a Milano, mi sono serviti a livello sportivo, ma anche personale. Ho una grande simpatia per il club. Il presidente Beppe Marotta è un altro caro amico e poi l’Inter ha una tradizione tedesca, basti pensare a Matthäus, Brehme e Klinsmann. Ho sempre detto che Monaco è la città più a nord d’Italia, mentre Milano è forse la città più a sud della Germania".
E dell’Inter di oggi chi le piace?
"Sono tutti campioni ma Lautaro Martinez è qualcosa di più di un attaccante molto forte. Una seconda punta, ma soprattutto un leader, un capitano vero. È lui che fa la differenza. Con una grande difesa".
E Simone Inzaghi?
"Per me è un fenomeno. Con l’Inter si è tolto grandi soddisfazioni e ha vinto tanto, ma soprattutto ha dato una mentalità europea alla squadra. Ero a Istanbul nel 2023, ai nerazzurri mancò solo la fortuna".
Sia sincero: Calhanoglu è sempre il suo interista preferito?
"Gran giocatore, ma non è vero che l’estate scorsa lo abbiamo cercato. C’è Kimmich, ma tanti altri...".
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