GIULIANA LORENZO
Sport

La “fiamma“ di Alice. Il buio dopo l’oro olimpico e la ricerca della normalità: "Rinata tra fede e tatami»

La bresciana Bellandi, judoka in forza alla Finanza, si racconta a cuore aperto: "Ho fatto fatica a gestire il successo di Parigi ’24, ho anche pensato di mollare. Ma agli ultimi Mondiali ho trovato una “guida“ che mi ha aiutato a vincere".

La bresciana Bellandi, judoka in forza alla Finanza, si racconta a cuore aperto: "Ho fatto fatica a gestire il successo di Parigi ’24, ho anche pensato di mollare. Ma agli ultimi Mondiali ho trovato una “guida“ che mi ha aiutato a vincere".

La bresciana Bellandi, judoka in forza alla Finanza, si racconta a cuore aperto: "Ho fatto fatica a gestire il successo di Parigi ’24, ho anche pensato di mollare. Ma agli ultimi Mondiali ho trovato una “guida“ che mi ha aiutato a vincere".

"Voglio vivere le cose come una bambina". Una bambina che nel tempo è cresciuta e che spesso si è scontrata con i problemi e le apparenze. La judoka bresciana Alice Bellandi (tesserata con le Fiamme Gialle) non si è fatta ingannare da quell’oro luccicante messo al collo ai Giochi Olimpici di Parigi 2024. La gioia c’è stata, ma ha portato anche altro: mesi in cui non ha messo piede sul tatami. Solo a gennaio 2025 è ripartita, di nuovo, ancora una volta, perché dentro di sé, ascoltando il suo cuore e la fede trova sempre la strada. E così con poco allenamento si è presentata al Mondiale di Budapest e ha vinto il titolo nei 78 kg, dandosi del tempo per ritrovare la vera Alice, le motivazioni e il proprio equilibrio personale prima ancora che sportivo.

Cosa c’è dietro la vittoria del Mondiale?

"Dopo i Giochi Olimpici sono cambiate tante cose. Talvolta, una vittoria olimpica rischia di travolgerti se non sei in grado di “separarti“. Si è gli stessi di prima, ma il successo pone in una posizione pericolosa se non si fa distinzione tra la vita privata e tutto il resto. I primi quattro mesi non sono stati facili, ma avevo e ho persone giuste al mio fianco, che mi hanno aiutato. Sono riuscita a riprendere, ancora una volta, consapevolezza e coscienza di me e di quelle che erano poi le mie priorità e di ciò che volevo fare. Ho cambiato tanto e poi abbiamo ripreso a lavorare. Avevo chiesto che non mi fosse fatta nessuna pressione su quest’anno, volevo decidere io che gare fare. Ho scelto io di competere al Mondiale, volevo risentire quelle sensazioni... l’adrenalina. Ho vissuto tutto con tranquillità, è mutato il mio approccio alle cose, ho rivalutato tanto e voglio vivermi il quadriennio con una consapevolezza diversa, poi, ovviamente, ci tengo e ci tenevo. Ho aperto una porta senza sapere cosa avrei trovato, ma ho vissuto tutto con il sorriso".

In finale ha detto che non ha voluto ascoltare le sensazioni che provava, cosa è scattato?

"Era quasi più di un anno che non facevo questo genere di incontri. La mia condizione non era ottimale, non abbiamo lavorato sullo specifico e non si può improvvisare. In finale, la tedesca Anna Monta Olek era più pronta di me, ma io, in più, avevo una fede sconfinata: quello che ti permette, quando il fisico non regge, di fare cose incredibili".

Quando si è avvicinata alla fede?

"Da un annetto, ed è stata una ricerca: più vuoi imparare più conosci e più sei consapevole. Prima non avevo la guida giusta che mi potesse far vedere la parte di me che non conosco, la fede è questo: Dio vive in noi, noi viviamo in Dio. È un rapporto di elevazione con te stesso, vedi le cose da un altro punto di vista in un mondo che vuole solo risultati materiali. La fede è qualcosa che poi ti salva. Ho detto che anche nei momenti no ho sempre avuto questa voce interiore che mi diceva di non mollare. Credo fosse questo, Dio agisce in vari modi".

Cosa accade dopo un oro olimpico?

"Nessuno ti prepara, c’è un po’ la sindrome del pavone. Tutti vogliono vedere qualcosa di bello, ma non sanno in realtà cosa ci sia dietro. Sei spaventato, nel bene o nel male, ti trovi in una situazione mai vissuta e soprattutto nel judo, certa visibilità ce l’hai solo ai Giochi Olimpici. Spesso ti tolgono la chance di essere umana. Ti dicono: “Non puoi stare male perché sei campione olimpico…c’è gente che non ce l’ha fatta e tu invece ce l’hai fatta e perché stai male o sei triste?“. Nessuno ti prepara al fatto che tanti non ti capiranno: ci sono sempre le stesse domande, le stesse cose, vai nei posti e devi parlare sempre di quando torni, degli obiettivi. Ti levano la possibilità di essere normale. A volte ti aspetti più di quello che puoi e spesso devi trovare un proposito diverso. Il mio è aiutare gli altri, dare una voce, la sindrome del pavone può distruggere. Chi è forte e ha le persone giuste al suo fianco supera queste cose. Chi non può che fa? Si tende solo a far vedere il bello, le famiglie perfette, le vacanze o auto lussuose..invece ognuno ha il proprio percorso: l’obiettivo non sono le cose materiali, ma le emozioni".

Come è tornata a essere Alice e non la judoka?

"Non fare judo per tanto tempo mi ha aiutato. Ho fatto e provato sport nuovi, ho capito che accade quando non sai fare qualcosa, sono andata in ambienti dove non ero nessuno. Mi ha aiutato, poi io faccio sempre il lavoro con la mia mental coach e con le persone strette con cui condivido tutto".

Ha pensato di mollare?

"Sì, l’ho pensato soprattutto all’inizio quando avevo una repulsione per tutto questo, qualcosa di fisiologico dopo 20 anni in cui desideri una cosa e te la danno e devi avere il tempo di assorbirlo. Ho imparato che non devi giudicare le emozioni ma viverle, forse volevo una vita normale, lontana dalla sofferenza di tutti i giorni, era una repulsione della fatica. Ora spero di continuare a divertirmi e ad amare qualsiasi cosa faccia, penso che questa sia la cosa più bella perché ti porta felicità e la felicità non ha prezzo, medaglia, o colore".

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