
Zenga
Milano, 5 febbraio 2018 - Sono stati due gli striscioni esposti sabato sera dalla Curva Nord. Il primo, al momento del riscaldamento pre-partita di Inter-Crotone, recitava: «Sveglia, torniamo a vincere». Il secondo, poco dopo il fischio d'inizio, «C'è solo un Walter Zenga». Un contrasto tra presente e passato che è diventato ancor più evidente a fine gara, quando i fischi hanno subissato l'uscita dal campo dei nerazzurri e qualche minuto più tardi scroscianti applausi hanno accompagnato lo stesso Zenga mentre si avvicinava al settore degli ultras interisti. All'Inter degli ultimi due mesi sembra mancare soprattutto il senso di appartenenza, oltre che un pizzico di coraggio.
Con l'addio a Yuto Nagatomo se n'è andato uno dei due rappresentanti della rosa in grado di vincere un trofeo con questa maglia, la Coppa Italia del 2011. L'unico «reduce» (dello stesso trionfo) resta Andrea Ranocchia, una riserva. In campo non ci sono bandiere, non c'è chi possa rappresentare in toto quell'interismo di cui Zenga è fiero rappresentante. Quattro fra i titolari di sabato sono nuovi acquisti (Skriniar, Dalbert, Borja Valero e Vecino), lo stesso vale per i tre innesti a gara in corso. Tutti gli altri, eccezion fatta per Eder, erano già in nerazzurro quando la squadra è passata attraverso i due grandi crolli della storia recente, quello con Mancini di due anni fa e quello con Pioli dell'ultima stagione. Ha quindi ragione Spalletti, evidentemente, quando parla di scarsa solidità a livello mentale e di ricaduta nei medesimi errori.
Non è solo tecnica, non può esserlo se giocatori come Candreva, Brozovic, Perisic, gente che la palla sa come toccarla, falliscono i passaggi più elementari e sbagliano quasi tutte le decisioni da prendere nei sedici metri finali. L'esortazione più comune per l'allenatore, sottolineata settimana scorsa anche da Massimo Moratti, è quella di trovare delle soluzioni. «E' PAGATO per quello», si dice. Non è una soluzione lasciare fuori Cancelo per Dalbert (finora l'acquisto più sbagliato dell'estate), ma il portoghese è rimasto in panchina anche per avere un'arma in più a gara in corso, non potendo contare né su Icardi né sull'ingresso a partita iniziata di Eder, schierato titolare. In panchina c'è pochissimo materiale su cui poter lavorare. Serve la rivoluzione Può darsi, ma alla guerra si va sapendo quali sono le proprie armi e quanto possano far male. E oggi l'armata Inter fa più paura a sé stessa che non al Crotone.