Gianni Dimarco: "Lavoro e umiltà, così è cresciuto Federico"

Il papà del terzino dell’Inter che lunedì ha segnato contro l’Ungheria il primo gol in Nazionale: "Da piccolo mi aiutava qui"

Gianni e Giuseppe Dimarco padre e zio del terzino dell’Inter e della Nazionale

Gianni e Giuseppe Dimarco padre e zio del terzino dell’Inter e della Nazionale

Milano - ​Passeggiando lungo lo storico viale di Corso Porta Romana, nel cuore del quartiere Vigentino, sotto un tendone verde compare un banco ortofrutticolo che dal 1968, serve i residenti della zona con materie di prima qualità. A ordinare la frutta sul banco e scambiando qualche battuta con il fratello (anche lui impiegato nell’attività), c’è Gianni Dimarco, 54 anni, il papà di Federico, il terzino sinistro dell’Inter che lunedì sera è stato l’artefice della vittoria dell’Italia di Mancini contro l’Ungheria, siglando la rete del raddoppio, nonché il primo gol personale con la nazionale e portando i compagni direttamente alle Final Four di Nations League.

Entrando nella bottega Dimarco si respira la tradizione ma anche il sacrificio e l’abnegazione di una tipica attività a conduzione famigliare, che profuma di casa: "Io e mio fratello Giuseppe siano nati a Milano a Calvairate, ma i nostri genitori sono arrivati qui negli anni ’50 dalla Lucania e noi abbiamo portato avanti la tradizione. Oggi ci vuole umiltà per mantenere un’attività di questo genere, il resto non conta, è proprio uno dei principi che ho insegnato a mio figlio, se è arrivato a giocare ad alti livelli è grazie alla voglia di lavorare e alla testa sulle spalle" racconta Gianni Dimarco.

Federico e Christian , il fratello più piccolo, anche lui calciatore, attualmente alla Feralpisalò, sono cresciuti a pane e calcio, frequentando le scuole del quartiere e tirando i primi calci al pallone proprio nel Calvairate, squadra in Eccellenza: "È stato mio cognato a trasmettere a Federico la passione per il calcio, a soli tre anni lo portava a San Siro a vedere l’Inter, io l’ho sempre e solo appoggiato nelle sue scelte. E vedendolo felice ho capito che era la strada giusta, le lascio immaginare cosa ha rappresentato per lui la chiamata della sua squadra del cuore. Se mi aiutava al banco? Veniva qua nei pomeriggi dopo scuola, poi quando è entrato nel vivaio dell’Inter aveva meno tempo. Ha fatto tanti sacrifici e ad un certo punto ha dovuto scegliere per cosa valesse la pena lottare. La sua qualità? Ha sempre avuto la testa dura". Chi più di ogni altro ha contribuito a forgiare il carattere di Federico è stata la mamma: "Mia moglie è sempre stata presente, il sabato agli allenamenti, la domenica alla partita: l’ha seguito passo per passo, trasmettendogli fiducia e spirito di dedizione. Tanti meriti sono suoi".

Il percorso di Federico, fatto anche di tanta gavetta, con i prestiti all’Ascoli, all’Empoli, al Sion, al Parma e ancora al Verona - "Serve anche quella alla fine" commenta pragmatico Gianni – l’ha portato nel 2021 a ritrovare l’Inter di Simone Inzaghi, e la fiducia del ct Roberto Mancini, che dopo averlo lanciato in Serie A nel 2015 quando si trovava sulla panchina meneghina, lo ha chiamato in Nazionale, confermando un rapporto di stima che si era aperto tanti anni prima: "Se l’era mia bün però mica lo convocava Mancini" sentenzia in dialetto milanese stretto il padre, che giustamente ricorda la lunga trafila di Federico nelle nazionali giovanili. «Ho visto la gara contro l’Ungheria e mi sono emozionato. Poi si sa quando le cose vanno bene sono tutti felici. L’importante è che mantenga la testa sulle spalle, proprio come gli abbiamo insegnato noi".