
L'allenatrice Cinzia Zanotti (Foto/AlessiaDoniselli)
Al Giorno l’allenatrice della GEAS ha detto: “Ho letto subito tante cose che non mi sono piaciute. Commenti e punti di vista, anche fuori luogo, che non mi pare vengano mai rivolti ai colleghi uomini. Si parla e si dice di tutto, senza neanche conoscere la persona e l’allenatrice. È una particolarità, purtroppo, del nostro Paese. Intanto il resto del mondo va avanti, anche in NBA abbiamo visto donne entrare negli staff di importanti franchigie”.
E in sua difesa è intervenuta anche Cecilia Zandalasini, ala della nazionale italiana e delle Golden State Valkyries nella WNBA, passata anche per la GEAS. A Repubblica la cestista, che ha trainato le azzurre nel girone della FIBA Women’s EuroBasket, ha detto: “In Italia che una donna possa comandare un pubblico di uomini fa ancora effetto(…). Mi verrebbe da dire una cosa che sembra scontata ma non lo è: che ha le competenze giuste”.
Gerarchia mascherata
Insomma, il mondo del basket maschile non è pronto ad un allenatrice donna. E’ scontato dire che, invece, nella pallacanestro femminile (così come in moltissimi altri sport) gli uomini allenatori e tecnici, invece, ci sono. E sono numerosi. Cade allora il pretesto che le versioni maschile e femminile di questo sport siano troppo diverse perché Zanotti potesse ambire a guidare i quintetti della Germani. Perché allora è così difficile accettare una coach sulle panchine dei cestisti?
Valutiamo davvero la competenza?
Lo sport maschile è percepito come “vero”, mentre quello femminile viene spesso raccontato come una versione secondaria, quasi amatoriale. Non è solo una questione di visibilità mediatica o investimenti: è una gerarchia simbolica. Quando una donna come Cinzia Zanotti viene proposta per allenare una squadra maschile, non si giudica semplicemente la sua competenza. Anche perché di competenze una come lei ne ha da vendere, con una carriera impressionante sia da giocatrice (483 presenze e 6682 punti in Serie A e 113 presenze e 1009 punti in nazionale) che da allenatrice (6 scudetti giovanili e una prima squadra sempre nelle fasce alte della classifica). Se un allenatore uomo con un simile curriculum fosse stato proposto per guidare una squadra di Serie A1, nessuno avrebbe probabilmente sollevato obiezioni sulla sua “preparazione”.