CLARA LATORRACA
Sport

Le donne al comando sono un problema (anche) nel basket. E nello sport in generale

Cinzia Zanotti sarebbe potuta diventare la prima coach donna della serie A1 italiana per la Germani Brescia. Sulla sua rinuncia pesano le ombre di un clima di polemiche, che si sono scatenate subito dopo che la proposta è stata resa pubblica

L'allenatrice Cinzia Zanotti (Foto/AlessiaDoniselli)

L'allenatrice Cinzia Zanotti (Foto/AlessiaDoniselli)

Al Giorno l’allenatrice della GEAS ha detto: “Ho letto subito tante cose che non mi sono piaciute. Commenti e punti di vista, anche fuori luogo, che non mi pare vengano mai rivolti ai colleghi uomini. Si parla e si dice di tutto, senza neanche conoscere la persona e l’allenatrice. È una particolarità, purtroppo, del nostro Paese. Intanto il resto del mondo va avanti, anche in NBA abbiamo visto donne entrare negli staff di importanti franchigie”.

E in sua difesa è intervenuta anche Cecilia Zandalasini, ala della nazionale italiana e delle Golden State Valkyries nella WNBA, passata anche per la GEAS. A Repubblica la cestista, che ha trainato le azzurre nel girone della FIBA Women’s EuroBasket,  ha detto: “In Italia che una donna possa comandare un pubblico di uomini fa ancora effetto(…). Mi verrebbe da dire una cosa che sembra scontata ma non lo è: che ha le competenze giuste”. 

Gerarchia mascherata

Insomma, il mondo del basket maschile non è pronto ad un allenatrice donna. E’ scontato dire che, invece, nella pallacanestro femminile (così come in moltissimi altri sport) gli uomini allenatori e tecnici, invece, ci sono. E sono numerosi. Cade allora il pretesto che le versioni maschile e femminile di questo sport siano troppo diverse perché Zanotti potesse ambire a guidare i quintetti della Germani. Perché allora è così difficile accettare una coach sulle panchine dei cestisti? 

“La versione (maschile dello sport) non viene vista sola come diversa, ma come gerarchicamente migliore, la norma a cui ambire”, scriveva nel 2023 Camilla Valerio, giornalista esperta in sport e questioni di genere, su Vitamine Vaganti. Come in tantissimi altri campi, dalla medicina all’urbanistica, l’esperienza maschile diventa quella standard. Quella di cui è più importante occuparsi. L’esperienza femminile viene invece trattata come un’eccezione, un’aggiunta, mai come un punto di partenza. Lo stesso schema si ripete nello sport.
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Valutiamo davvero la competenza? 

Lo sport maschile è percepito come “vero”, mentre quello femminile viene spesso raccontato come una versione secondaria, quasi amatoriale. Non è solo una questione di visibilità mediatica o investimenti: è una gerarchia simbolica. Quando una donna come Cinzia Zanotti viene proposta per allenare una squadra maschile, non si giudica semplicemente la sua competenza. Anche perché di competenze una come lei ne ha da vendere, con una carriera impressionante sia da giocatrice (483 presenze e 6682 punti in Serie A e 113 presenze e 1009 punti in nazionale) che da allenatrice (6 scudetti giovanili e una prima squadra sempre nelle fasce alte della classifica). Se un allenatore uomo con un simile curriculum fosse stato proposto per guidare una squadra di Serie A1, nessuno avrebbe probabilmente sollevato obiezioni sulla sua “preparazione”. 

Il problema, come lei stessa evidenzia, è che una donna deve ancora giustificare la propria presenza in ruoli che per convenzione sociale vengono considerati “maschili”. Si mette in discussione il suo “diritto” a stare in quella posizione, come se dovesse prima giustificare la sua presenza in un contesto “superiore”. Accettare una coach donna in una squadra maschile significherebbe mettere in crisi questa gerarchia implicita, dimostrare che la competenza non ha genere, e che il maschile non è sempre e comunque il livello più alto a cui aspirare. E l’Italia, ancora una volta, ha dimostrato di non essere pronta a cambiare.